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§ Focus musicale | Il Quartetto op. 67 e il Quintetto op. 115 di Brahms

§ Focus musicale | Il Quartetto op. 67 e il Quintetto op. 115 di Brahms

In vista del concerto in streaming di sabato 10 aprile, con il Tokyo String Quartet e la clarinettista Sabine Meyer, pubblichiamo le note di sala a cura di Alberto Batisti e Francesco Dilaghi inserite nel programma di sala del concerto, conservato nel nostro archivio storico.

Johannes Brahms (1833-1897)
Quartetto per archi n. 3 in si bemolle maggiore, op. 67

Benché quest’ultimo lavoro quartettistico di Brahms sia talvolta chiamato con l’appellativo di “Quartetto viennese”, per supposte memorie melodiche della capitale imperiale, la sua ispirazione sembra soprattutto legata a suggestioni nate nelle vacanze trascorse a Ziegelhausen sul Neckar, nei pressi della Foresta Nera. Il Terzo Quartetto nacque infatti là, nell’estate 1875 e precedette giusto di un anno la composizione dell’opera che segnò l’ingresso di Brahms nella fase matura della sua carriera, la tanto attesa Prima Sinfonia.
Fin dall’attacco del primo movimento, gli echi di corni e di paesaggi montani sono chiarissimi: il primo tema di questo “Vivace” ha infatti il carattere di una gioiosa fanfara. Il movimento si sviluppa quindi su altre due melodie principali, nella ormai consueta forma-sonata tritematica. L’”Andante” che segue si immerge invece nell’atmosfera sognante di un Lied diviso in tre sezioni, non lontano dallo spirito di Schumann. Quello che nella forma appare poi come uno Scherzo, l’”Agitato” che funge da terzo movimento, in realtà è una straordinaria pagina di natura elegiaca e appassionata, guidata quasi sempre dal colore caldo e brunito della viola, protagonista anche nel breve trio centrale. L’ultimo tempo è una magnifica serie di variazioni su un tema di carattere popolare, sul genere, tanto amato da Brahms e da tutti i romantici tedeschi, del Volkslied. Si noti come questo tema sia imparentato alla lontana con quello di fanfara che apriva il primo movimento; nella progressione delle otto variazioni, la fanfara si farà sempre più strada, finché nella coda risuona con tutta chiarezza, dando un senso ciclico alla chiusura del Quartetto. Il tono generale di questo lavoro in si bemolle maggiore è assai più disteso e ricco di felice cantabilità rispetto agli accenti severi e drammatici dei precedenti due Quartetti op. 51. Peraltro, la pienezza polifonica e la concezione dell’opera fanno ormai intuire la svolta sinfonica, ormai prossima nell’itinerario brahmsiano.

Alberto Batisti

Johannes Brahms 
Quintetto per clarinetto e archi in si minore, op. 115

Nel 1890 Brahms aveva manifestato l’intenzione di abbandonare la composizione: «questi sono gli ultimi che riceverete», scriveva nel dicembre all’editore Simrock inviandogli il manoscritto del Quintetto per archi op. 111, «perché adesso è proprio l’ora che mi fermi». Ma, per fortuna della posterità, il proposito dell’ormai anziano maestro fu contraddetto da una estrema, crepuscolare stagione compositiva; e così vide la luce il Quintetto op. 115, ultimo di un gruppo di capolavori cameristici, nel quale figurano anche il Trio op. 114 e le due Sonate op. 120, tutte opere nate da un senile, tenerissimo amore per il clarinetto, strumento fino allora – tranne sporadiche eccezioni – escluso dalle forme più raffinate della musica d’insieme. Questa riscoperta del clarinetto è legata alla conoscenza occasionale di uno strumentista di eccezionali qualità, Richard von Mühlfeld, primo clarinetto dell’orchestra di Meiningen (dove Brahms aveva soggiornato qualche tempo nei primi mesi del 1891) e ottimo concertista. La prima esecuzione del Quintetto op. 115 avvenne il 10 dicembre 1891 a Berlino con entusiastica accoglienza da parte del pubblico, che avrebbe voluto il bis di tutta la composizione; esito non diverso ebbe la prima esecuzione viennese, che ebbe luogo il 5 gennaio successivo.
In questa composizione, che conclude mirabilmente la parabola compositiva del Brahms autore di musica da camera, si trova ancora una volta e con esiti ancor più radicalmente accentuati quella tecnica compositiva che è una caratteristica di questo autore fin dai primi anni di attività, già, ad esempio, dal Sestetto d’archi op. 18: quella cioè di legare fra loro tutti gli elementi tematici di una composizione facendoli derivare da un unico elemento generatore iniziale o assimilandoli ad un determinato intervallo melodico che risulta così il sotterraneo elemento unitario di tutta l’opera. Nel caso di questo Quintetto per clarinetto e archi l’intervallo dominante è quello di quarta, anche suddiviso nelle sue articolazioni interne degli intervalli di seconda e di terza. Tutto il materiale tematico è così sistematicamente elaborato fin quasi ai singoli incisi e riutilizzati nei vari movimenti, fino alla Coda dell’ultimo che ripresenta, secondo il principio della forma ciclica, l’elemento tematico iniziale nel suo aspetto originario.
La straordinaria maestria tecnica del compositore, ormai giunto al punto più alto della sua parabola, sembra qui tuttavia come vivificata e illuminata da un sentimento di profonda e accorata nostalgia, suggerita peraltro dall’impasto timbrico fascinosissimo del clarinetto con gli strumenti ad arco, già a suo tempo chiaramente individuato da Mozart dell’estrema maturità un secolo prima. Non sembra esserci più posto ormai per gli slanci e le accensioni giovanili: tutto è contemplato dall’alt0 di una tenera ma ancora lucida e disincantata lontananza. Anche in questo Quintetto torna la forma, cara fra tutte a Brahms, delle Variazioni; ma gli episodi dell’ultimo movimento risultano del tutto privi di ogni turgore barocco e decisamente proiettati verso, ed oltre, le atmosfere del decadentismo europeo, fino alla struggente ripresa dell’elemento iniziale – il cerchio che fatalmente si richiude sul proprio inizio – con quella ambiguità tonale tra re maggiore e si minore (sorprendentemente analoga a quella del tema dell’ultimo tempo del Sestetto di Dvořák) che stende come un velo di rassegnato e affettuoso riserbo e s’impone come cifra più autentica di tutta l’opera.

Francesco Dilaghi