
§ Focus musicali | Ludwig van Beethoven, fra Sonate e Fantasie
Dopo aver esplorato e assimilato la lezione di Haydn e Mozart nelle sue prime Sonate per pianoforte, Ludwig van Beethoven arriva, intorno al 1800 e al 1801, a comporre due lavori che trasformano radicalmente la sonata classica. Composte all’incirca nello stesso periodo, le due Sonate dell’op. 27 vengono pubblicate separatamente, poiché dedicate alla principessa Josephine von Lichtenstein e alla contessa Giulietta Guicciardi. L’elemento che unisce queste due Sonate è il loro allontanamento dallo schema della sonata classica: per entrambe, infatti, Beethoven adotta il titolo programmatico di “Quasi una fantasia”.
La prima cosa che si nota osservando lo spartito della Sonata op. 27 n. 1 è la sua concezione fortemente unitaria: i quattro movimenti, secondo indicazione dell’autore, devono essere eseguiti senza soluzione di continuità. La Sonata si apre con un movimento tripartito: un Andante in mi bemolle maggiore che porta a un brillante Allegro in do maggiore, che si riallaccia al “Tempo primo”. Al primo movimento segue subito un Allegro vivace in do minore che passa a un Adagio con espressione in la bemolle maggiore. Questo movimento lento non ha però una natura autonoma, funge piuttosto da introduzione al tempo successivo: con una sorta di cadenza, infatti, si collega direttamente al tempo finale, l’Allegro vivace. La Sonata op. 27 n. 1 è costruita quindi come un unico grande movimento, articolato in sezioni contrastanti.
La Sonata op. 27 n. 2, oltre al titolo sopra menzionato, reca quello di “Al chiaro di luna”, non autografo ma introdotto dal poeta e critico Ludwig Rellstab nel 1832. Dal punto di vista formale, non è una sonata di rottura come la precedente, nonostante si apra con un primo tempo anomalo, ossia un Adagio sostenuto, seguito da un Allegretto (definito da Liszt «un fiore tra due abissi») e da un finale Presto agitato. In questo lavoro la ricerca compositiva di Beethoven si concentra, più che sugli aspetti formali, sulle indicazioni timbriche per l’esecutore. In particolare, nel movimento iniziale il compositore scrive, sotto l’indicazione di tempo: «Si deve suonare tutto questo pezzo delicatissimamente e senza sordini», ovvero usando il pedale di risonanza, che permette di alzare tutti gli smorzatori (i “sordini”) del pianoforte.
In questo approfondimento abbiamo deciso di accostare le due Sonate op. 27 di Beethoven alla Fantasia in sol minore op. 77. Composta nel 1809 e pubblicata l’anno successivo per l’editore Breitkopf, l’opera è dedicata al conte Franz von Brunswick. La Fantasia op. 77 è un pezzo piuttosto atipico nel catalogo beethoveniano di quel periodo. L’opera ha un carattere rapsodico che, da un lato, può richiamare composizioni scritte secondo l’Empfindsamer Stil (“stile sensibile”), tipico di autori come Wilhelm Friedemann e Carl Philipp Emanuel Bach; in questi lavori, la scrittura musicale è solitamente poco lineare perché vuole rappresentare sonoramente umori e sentimenti mutevoli. Un’altra suggestiva interpretazione è quella suggerita da Carl Czerny, pianista e compositore allievo di Beethoven, secondo il quale la Fantasia op. 77 è un’improvvisazione scritta. Beethoven – che si fece conoscere e apprezzare a Vienna per le sue grandi doti di improvvisatore – continua, in questa opera formalmente libera, a esplorare possibili strade di scrittura per la tastiera, che porteranno ai capolavori del suo periodo più tardo.