MARCO RIZZI, violino – ENRICO DINDO, violoncello – ALESSANDRO CARBONARE, clarinetto – PIETRO DE MARIA, pianoforte

Turno A, C

DEBUSSY: Prima Rapsodia per clarinetto e pianoforte
DEBUSSY: Sonata in re minore per violoncello e pianoforte L 440
DEBUSSY: Sonata in sol minore per violino e pianoforte L 148
MESSIAEN: Quatuor pour la fin du temps

Marco Rizzi è considerato uno dei musicisti più apprezzati d’Italia. La sua attività artistica lo ha portato a essere regolarmente ospite della Scala di Milano, Salle Gaveau e Salle Pleyel a Parigi, Lincoln Center di New York, Conservatorio di Mosca, Tivoli di Copenhagen, Concertgebouw di Amsterdam, Konzerthaus di Berlino. Ha suonato con direttori quali Chailly, Vonk, Ceccato, Noseda, Jurowski, Eötvös e con orchestre come Staatskapelle Dresden, Indianapolis Symphony Orchestra, Hong Kong Philharmonic, Orquesta RTVE di Madrid, BBC Scottish, Nederlands Philharmonic. In collaborazione con artisti quali A. Lucchesini, M. Brunello, L. Zylberstein, G. Hoffman, N. Imai, affianca a quella solistica un’intensa attività cameristica. Ha insegnato alla Hochschule für Musik a Detmold e attualmente è docente presso la Hochschule für Musik a Mannheim. Dal 2007 è anche professore titolare alla Escuela Superior de Musica Reina Sofia di Madrid. Suona un violino P. Guarneri del 1743, messo a disposizione dalla Fondazione Pro Canale.

Enrico Dindo conquista nel 1997 il Primo Premio al Concorso “Rostropovich” di Parigi e, da quel momento, inizia un’intensa attività da solista che lo porta a esibirsi con la BBC Philharmonic Orchestra, Rotterdam Philharmonic Orchestra, Orchestre Nationale de France, Filarmonica della Scala, Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, Filarmonica di San Pietroburgo, Orchestra Sinfonica di Stato di Sao Paulo, Tokyo Symphony Orchestra, Toronto SO e Chicago SO. È stato diretto da Chailly, Ceccato, Noseda, Chung, Järvj, Gergiev, Muti e Rostropovich. Con la fondazione de I Solisti di Pavia (2001) inizia un percorso di avvicinamento alla direzione d’orchestra che lo ha portato a collaborare con l’Orchestra Giovanile Italiana, Orchestra della Svizzera Italiana e Filarmonica della Scala. Suona un violoncello Pietro Giacomo Rogeri (ex Piatti) del 1717 affidatogli dalla Fondazione Pro Canale.

Primo Clarinetto dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia dal 2003, Alessandro Carbonare per quindici anni ha ricoperto la stessa carica per l’Orchestre National de France. Sempre nel ruolo di Primo Clarinetto ha collaborato con i Berliner Philarmoniker, Chicago Symphony Orchestra e New York Philharmonic. Si è esibito come solista con la Filarmonica di Oslo, Orchestra della Radio Bavarese di Monaco, Orchestre National de France, Wien Sinfonietta, Tokyo Metropolitan Orchestra e con le più importanti orchestre italiane. È membro del Quintetto Bibiena e collabora con M. Brunello, P. Zukerman, A. Lonquich, E. Pahud, A. Lucchesini, W. Christ, Trio di Parma, M. Quarta, L. Sclavis, P. D’Riveira e molti altri. Su invito di Claudio Abbado, è stato Primo Clarinetto nell’Orchestra del Festival di Lucerna e nell’Orchestra Mozart. Ha commissionato nuovi Concerti per clarinetto a Ivan Fedele, Salvatore Sciarrino, Luis De Pablo e Claude Bolling. È professore di Clarinetto all’Accademia Chigiana.

Dopo aver vinto il Premio della Critica al Concorso Tchaikovsky di Mosca nel 1990, Pietro De Maria ha ricevuto il Primo Premio al Concorso Internazionale Dino Ciani (1990) e al Géza Anda di Zurigo (1994). Nel 1997 gli è stato assegnato il Premio Mendelssohn ad Amburgo. Ha collaborato come solista con prestigiose orchestre e direttori quali Roberto Abbado, Gary Bertini, Myung-Whun Chung, Daniele Gatti, Alan Gilbert, Eliahu Inbal, Marek Janowski, Ton Koopman, Michele Mariotti, Ingo Metzmacher, Gianandrea Noseda, Yutaka Sado, Sándor Végh. Si è diplomato sotto la guida di Gino Gorini al Conservatorio di Venezia, perfezionandosi con Maria Tipo al Conservatorio di Ginevra, dove ha conseguito nel 1988 il Premier Prix de Virtuosité. Ha registrato l’integrale delle opere di Chopin e il Clavicembalo ben temperato per DECCA, ricevendo riconoscimenti dalla critica specializzata, tra cui Diapason, International Piano, MusicWeb-International e Pianiste. Insegna alla Scuola di Musica di Fiesole, all’Accademia di Musica di Pinerolo e all’International PIANALE Piano Academy in Germania.

Dall’archivio degli Amici della Musica di Firenze

Olivier Messiaen (1908-1992)
Quatuors pour la fin du temps, per violino, clarinetto, violoncello e pianoforte

La composizione e l’inconsueto organico strumentale del Quatuors pour la fin du temps – il cui titolo completo proseguirebbe con una sorta di dedica: en hommage à l’Ange de l’Apocalypse, qui léve la main vers le ciel en disant: “Il n’y aura plus de Temps” – sono in relazione con la particolare circostanza in cui l’opera nacque: Messiaen nel 1940 si trovava prigioniero dei tedeschi a Görlitz; suoi compagni di prigionia erano tre musicisti – il violinista Jean le Boulaire, il clarinettista Henri Akoka e il violoncellista Etienne Pasquier – e per questo fortuito organico Messiaen decise di comporre un brano, anche per trovare in questo modo la forza di sopravvivere, per usare le parole dello stesso autore, «alla crudeltà e agli orrori del campo di prigionia». Il brano inizialmente composto in questa dolorosa circostanza fu il quarto degli otto che compongono l’opera, Intermède, dove infatti sono impiegati i tre strumenti in questione senza il pianoforte, ed ebbe la sua prima esecuzione nello stesso campo di prigionia il 15 Gennaio 1941; la versione completa prevede invece la presenza dello strumento a tastiera: presenza in realtà piuttosto discreta, il più delle volte con la semplice funzione di sostegno o di ampliamento armonico. La prima esecuzione del Quatuor pour la fin du temps nella sua versione completa ebbe luogo a Parigi l’anno successivo. Lo stesso Messiaen nell’introduzione alla partitura spiega il senso e l’origine di quest’opera, alla base della quale sta il seguente brano tratto dall’Apocalisse di San Giovanni: «Vidi un angelo pieno di forza scendere dal cielo, avvolto da una nuvola e con un arcobaleno sopra la testa. Il suo viso era come il sole, i suoi piedi come colonne di fuoco. Egli posò il piede destro sul mare. Il sinistro sulla terra, levò la mano verso il cielo e disse in nome di colui che vive nei secoli dei secoli: ‘Non vi sarà più tempo’; ma nel giorno della tromba del settimo angelo il mistero di Dio sarà consumato». Gli otto brani nei quali l’opera si articola non utilizzano tutti l’intero organico: oltre all’Intermède già ricordato, che esclude il pianoforte, il clarinetto è l’unico protagonista del terzo brano, e un duo di violoncello e pianoforte e di violino e pianoforte costituiscono rispettivamente il quinto e l’ottavo brano; il settimo brano presenta invece un organico diverso a seconda delle varie sezioni di cui è com¬posto. Quanto al linguaggio propriamente musicale della partitura, lo stesso Messiaen scrive che esso è «essenzialmente immateriale, spirituale, cattolico. Dei modi, che realizzano melodicamente e armonicamente una sorta di ubiquità tonale, accostano l’ascoltatore all’eternità nello spazio o nell’infinito. Dei ritmi particolari, fuori di ogni misura, contribuiscono fortemente ad allontanare l’elemento temporale».
Per il commento a ciascuno degli otto brani che compongono il Quatuor pour la fin du temps si riporta integralmente quanto scritto da Messiaen nelle note introduttive alla partitura.

1. Liturgia di cristallo. Fra le 3 e le 4 del mattino, il risveglio degli uccelli: un merlo o un usignolo solista improvvisa, circondato da pulviscoli sonori d’un alone di trilli perduti molto in alto negli alberi. Trasportate ciò sul piano religioso, avrete il silenzio armonioso del cielo.
2. Vocalizzo, per l’angelo che annuncia la fine del Tempo. La 1° e la 3° parte (assai brevi) evocano la potenza di quest’angelo forte, con un arcobaleno sul capo e vestito di nuvole, che posa un piede sul mare e uno sulla terra. Nel mezzo ci sono le armonie impalpabili del cielo. Al pianoforte, dolci cascate di accordi blu-arancio, che avvolgono con il loro suono lontano la melopea quasi da canto-piano di violino e violoncello.
3. Abisso degli uccelli. Clarinetto solo. L’abisso, è il tempo con le sue tristezze, con le sue stanchezze. Gli uccelli, è il contrario del tempo: è il nostro desiderio di luce, di stelle, di arcobaleno e di giubilanti vocalizzi!
4. Intermezzo. Scherzo, di carattere più esteriore rispetto agli altri movimenti, ma collegato ad essi grazie ad alcuni richiami melodici.
5. Lode all’eternità di Gesù. Gesù è considerato qui come Verbo. Una grande frase, infinitamente lenta, del violoncello, magnifica con amore e riverenza l’eternità di questo Verbo possente e dolce, “gli anni del quale non si consumeranno”. Maestosamente la melodia si mostra in una sorta di lontananza tenera e sovrana. “All’inizio era il Verbo, e il Verbo era in Dio, e il Verbo era Dio”.
6. Danza di furore, per le sette trombe. Ritmicamente, il pezzo più caratteristico della serie. I quattro strumenti all’unisono simulano andamenti di gong e trombe (le prime sei trombe dell’A¬pocalisse, seguite da catastrofi diverse, la tromba del settimo angelo che annuncia la consumazione del mistero di Dio. […] Musica di pietra, formidabile granito sonoro; irresistibile movimento d’acciaio, di enormi blocchi di furore purpureo, di ebbrezza ghiacciata. Ascoltate soprattutto il terribile fortissimo del tema per aumentazione e cambiamento di registro delle sue differenti note, verso la fine del pezzo.
7. Groviglio di arcobaleno, per l’Angelo che annuncia la fine del tempo. Tornano qui alcuni passaggi del secondo movimento. L’Angelo pieno di forza appare, e soprattutto l’arcobaleno che lo sovrasta (simbolo di pace, di saggezza e di ogni vibrazione luminosa e sonora). Nel mio sogno, ascolto e vedo accordi e melodie classificati, colore e forme conosciuti; poi, da questo stadio intermedio, passo nell’irreale e subisco con estasi una vertigine, una compenetrazione rotatoria di suoni e colori sovrumani. Quelle spade di fuoco, quelle colate di lava blu-arancio: ecco i grovigli, ecco gli arcobaleni!
8. Lode all’immortalità di Gesù. Ampio solo di violino, in riscontro con il solo di violoncello del 5° movimento. Perché questa seconda Lode? Essa si rivolge più specificamente al secondo aspetto di Gesù, a Gesù-Uomo, al Verbo fatto carne, resuscitato immortale per comunicarci la sua vita. Essa è tutto amore. La sua lenta ascesa verso l’estremità acuta è l’ascensione dell’uomo verso il suo Dio, del figlio di Dio verso il Padre, dalla creatura divinizzata verso il Paradiso.
– E ripeto ciò che ho detto in precedenza: “Tutto questo resta tentativo e balbettamento, se si pensa alla grandezza schiacciante del soggetto”!

Francesco Dilaghi

[foto Leonardo Ferri]