
§ Focus musicale | Le Suites per orchestra di Bach
In occasione del concerto in streaming di sabato 6 marzo 2021, con la Zefiro Baroque Orchestra diretta da Alfredo Bernardini del 17 dicembre 2017, pubblichiamo le note di Francesco Dilaghi sui brani in programma, conservate nel nostro archivio storico.
Le quattro Suites – o Ouvertures – per orchestra di Bach sono collocate cronologicamente con ogni probabilità, come gran parte della musica strumentale, sia orchestrale che cameristica, al periodo 1717-1723, quando cioè il musicista si trovava al servizio del principe di Anhalt-Köthen con l’incarico di direttore dell’orchestra di corte; ma è anche molto probabile che alcuni siano state scritte in un momento successivo, per il Collegium Musicum di Lipsia. Certamente la religione calvinista della corte di Köthen, come anche la passione per la musica strumentale del principe, fu la causa di questa “ventata” di musica profana che si inserisce nello sterminato catalogo delle opere di Bach, nel quale, come è noto, la musica con destinazione liturgica occupa una posizione quantitativamente di primo piano. Accanto dunque al ciclo dei sei Concerti brandeburghesi, ciclo nel quale si definisce con straordinaria ricchezza e varietà di soluzioni il genere squisitamente italiano del concerto (genere cioè in cui un singolo strumento o un piccolo gruppo di strumenti con ruolo solistico si pongono in relazione con il resto della compagine orchestrale), le Suites orchestrali di Bach rappresentano il dichiarato tributo al gusto francese, che all’epoca in Europa dilagava in conseguenza dell’egemonia politica e culturale esercitata dalla Francia durante, e ancora dopo, il lungo regno di Luigi XIV. In campo musicale, Jean-Baptiste Lully più di ogni altro aveva incarnato lo stile francese, che si esprimeva soprattutto nel genere della Suite di danze. In particolare, ogni spettacolo d’opera o di ballo, così come ogni “sunto” antologico di tali spettacoli, doveva aprirsi con una Ouverture, che rispondeva a ben precisi requisiti: una prima sezione in tempo lento e solenne, scandita dal caratteristico ritmo puntato “alla francese”, e una successiva in tempo veloce, aperta per lo più a mo’ di fugato; opzionale era la conclusione di nuovo con una sezione in tempo lento e in ritmo puntato, analoga alla prima.
L’adozione in Germania di questa forma strumentale squisitamente francese prese il nome di Ouverture, indicando dunque con il titolo del brano iniziale, peraltro di gran lunga il più esteso ed elaborato dal punto di vista compositivo, anche tutta la serie delle danze che lo seguivano. Bach ci ha lasciato dunque quattro esempi di questo genere, i quali però non erano pensati – come i già ricordati sei Concerti brandeburghesi o anche le sei Partite per strumento a tastiera – come un ciclo completo ed esaustivo di un genere, bensì come composizioni isolate; è probabile, anzi, che siano esistite altre analoghe partiture bachiane, ma non siano mai arrivate fino a noi. È in ogni caso interessante osservare come esse, dal punto di vista della forma, siano il perfetto corrispondente orchestrale di quell’aureo modello che, limitatamente al clavicembalo a due tastiere, Bach ci ha lasciato con l’Ouverture francese, elevata appunto ad esemplificazione dello stile francese in contrapposizione al Concerto nel gusto italiano, nella seconda parte del Clavier-Übung. Per sottolineare poi questa assoluta “ortodossia” dello stile francese, sia nelle quattro Suites orchestrali che nella Ouverture francese per clavicembalo, è assente l’Allemanda, danza di origine tedesca, e la successione delle danze privilegia le più tipiche danze francesi: soprattutto Gavotta, Bourrée e Minuetto, per lo più in coppie di due danze da eseguirsi alternativement, cioè con la ripresa della prima dopo la seconda. Solo in un caso (la Suite n. 3) la conclusione è affidata ad una Giga, mentre la Suite n. 1 si chiude con una coppia di Passepied (danza veloce in metro ternario), e le altre due con due pagine singolari, una Badinerie – di carattere gaio e scherzoso – e una Réjouissance: quest’ultima meglio di ogni altra capace di illustrare il senso di questo genere strumentale fatto di piacevolezza ed eleganza: di «una musica gaia, talvolta sentimentale e patetica, fatta per intrattenere un vasto pubblico: una Lust-Musik, appunto, una musica piacevole, una musica per il piacere» (Alberto Basso).
Tuttavia, anche nelle Suites orchestrali Bach non rinuncia ad inserire il gusto dialettico dei solisti rispetto al tutti: ciò avviene soprattutto nella Suite n. 2, dove troviamo il flauto traverso nel dichiarato e non occasionale ruolo di strumento solista. Ma anche le altre tre Suites prevedono organici differenziati, con strumenti a fiato posti di quando in quando alla ribalta: nella Suite n. 1 ricopre un ruolo privilegiato una coppia di oboi (che diventano addirittura tre nella Suite n. 4) e un fagotto, mentre nelle ultime due, oltre agli oboi, è la squillante presenza di tre trombe e timpani a conferire un carattere di festoso, luminosissimo clangore barocco. L’attenzione e il rilievo riservato agli strumenti a fiato – già di per sé un elemento di omaggio allo stile francese – per esigenze di varietà è però un aspetto destinato anche ad essere momentaneamente messo da parte, come nel caso di alcuni singoli movimenti affidati alla sola compagine degli strumenti ad arco: ed è il caso in primis della celeberrima Aria (o più esattamente, in francese, Air, al maschile) che segue l’Ouverture iniziale della Suite n. 3: pagina di meravigliosa, trasparente evidenza melodica, assurta alla massima celebrità già dalla fine dell’Ottocento grazie alla trascrizione del violinista August Wilhelmj (che ne fece un brano per violino solista da eseguirsi tutto sulla quarta corda, da cui il titolo ancora oggi corrente di “Aria sulla quarta corda”).