
§ Focus musicale | Tre trii di Johannes Brahms
In occasione dell’appuntamento di sabato 13 marzo 2021, con il concerto del Trio di Parma e il clarinettista Alessandro Carbonare del 18 marzo 2017 con tre Trii di Brahms in programma, pubblichiamo le note di sala a cura di Leonardo Pinzauti e Francesco Dilaghi, conservate nel nostro archivio storico.
Johannes Brahms (1833-1897)
Trio n. 2 in do maggiore per pianoforte e archi, op. 87
Cinque sono i Trii con pianoforte composti da Brahms, due dei quali sono quelli celeberrimi che hanno per protagonisti il corno e il clarinetto. Ma tra il primo, in si bemolle maggiore (la cui prima versione risale agli anni 1853-1854) e questo famoso in do maggiore passano quasi trent’anni, essendo stato composto nell’estate del 1882: nel frattempo il Brahms tumultuoso che aveva entusiasmato Schumann, forse per una sorta di affinità che aveva scorto nelle opere del ventenne amburghese, è diventato il più scaltrito e vigoroso compositore di musica da camera della seconda metà dell’Ottocento, capace di tradurre gli umori fantastici del proprio temperamento di «nordico» con una concisione nuova e con una estrema chiarezza di invenzioni. Il Trio in do maggiore respira infatti in un clima di felicità che si comunicò immediatamente anche nel suo circolo di amici ed ammiratori di Brahms. Fra questi era ad esempio l’affezionato Billroth, il quale, dando a Clara Schumann notizia dell’attività di Brahms, le comunicò la nascita del nuovo Trio definendolo un’«opera impregnata di un’allegrezza primaverile […] che ha la bellezza di un Raffaello». Lo stesso Brahms, di solito non molto propenso ad esaltarsi di fronte alle proprie fatiche creative, scrivendo all’editore Simrock non ebbe titubanze in proposito: «Posso dire – scrisse – che non ho mai ascoltato un’opera mia che fosse così bella come questa».
Siamo dunque di fronte ad un capolavoro nato nella piena consapevolezza del suo autore, e certo uno dei monumenti più affascinanti del filone cameristico di Brahms. L’Allegro di apertura, strutturato secondo le regole della forma-sonata, è basato su due temi ai quali fanno corona sei idee secondarie e potremmo dirlo d’impronta beethoveniana; l’Andante con moto, che trae il suo sottile fascino anche dalla scelta della tonalità relativa di la minore, nasce su un tema di carattere popolare, d’intonazione ungherese, con cinque variazioni; il carattere dello Scherzo è definito da Claude Rostand come «misterioso, leggero e fantastico», e il mirabile Allegro giocoso finale, pur ricollegandosi con la tradizione del consueto rondò di chiusura, ha i caratteri tipici di quella complessità d’intrecci e di sviluppi che rimandano al sicuro ancoraggio alla forma-sonata, punto di riferimento costante anche nel linguaggio «parentetico», come fu definito, del più grande Brahms.
(Leonardo Pinzauti)
Trio n. 3 in do minore per pianoforte e archi, op. 101
Quando Brahms ventenne fu presentato dal celebre violinista Josef Joachim a Robert e Clara Schumann, nel pacco delle composizioni sottoposte all’illustre maestro, oltre a vari pezzi pianistici, c’erano anche alcuni trii per pianoforte, violino e violoncello; di questi si sa che uno solo sopravvisse alla severissima autocensura di Brahms, l’op. 8, mentre gli altri furono distrutti. Dopo quest’opera giovanile, sulla quale Brahms volle tornare molti anni dopo per una radicale revisione, passarono ben trentacinque anni prima che il musicista si rivolgesse di nuovo a questo classico organico cameristico, e ciò fu con l’op. 87, del 1880. Il terzo e ultimo è appunto questo Trio in do minore op. 101, composto nel 1886 insieme alla Sonata per violoncello e pianoforte op. 99 e alla Sonata per violino e pianoforte op. 100 durante le vacanze estive sulle rive del lago svizzero di Thun, ed eseguito la prima volta a Vienna con lo stesso autore al pianoforte pochi mesi dopo. «Idee chiare e semplici», scriveva a proposito di questi tre capolavori cameristici del 1886 l’amico Heinrich von Herzogenberg, «dal sentimento fresco e giovanile, mature e sapienti nella loro estrema concisione, realizzano nel modo più semplice le opere musicali più coerenti che io conosca; è sorprendente», aggiunge, «come sia immediatamente chiara la direzione verso cui queste idee sviluppano le forme».
La concisione e l’essenzialità di questo Trio op. 101 risultano evidenti anche solo considerando la sua inconsueta brevità: poco più di venti minuti per una composizione in quattro movimenti. Il senso poi di consequenzialità e di coerenza messo in evidenza da Herzogenberg deriva da un metodo compositivo basato più sul principio della variazione delle cellule tematiche che su quello della elaborazione tematica vera e propria, d’altronde secondo un procedimento usato frequentemente in tutta l’opera cameristica e sinfonica di Brahms. Come per il precedente Trio op. 87, anche qui abbiamo i movimenti estremi riconducibili alla forma-sonata, momenti cioè di più rigorosa concezione e più «costruiti» rispetto ai due movimenti centrali, e cioè il «Presto non assai» (dove ritroviamo il carattere fantastico degli Scherzi giovanili) e l’«Andante grazioso», brano quest’ultimo di disarmante tenerezza, nel quale la cullante alternanza fra metro binario e ternario allude ancora una volta allo spirito del canto popolare.
(Francesco Dilaghi)
Trio in la minore per clarinetto, violoncello e pianoforte, op. 114
Nel 1890 Brahms aveva manifestato l’intenzione di abbandonare la composizione; fu invece la conoscenza del valentissimo clarinettista Richard Mühlfeld e quindi la “riscoperta” di questo strumento – sorta di amore senile che riempie e illumina gli ultimi anni di vita del musicista – a far nascere quattro capolavori cameristici: le due Sonate op. 120, il Quintetto op. 115 e questo Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte. Composta nell’estate del 1891, quest’opera mostra una originale intenzione di ricerca timbrica; e in questo clima tutto particolare, dominato dalla voce morbida e duttile del clarinetto, anche il pianoforte sembra spogliarsi di ogni pretesa “sinfonica” per piegarsi allo spirito malinconico e sfumato che pervade un po’ tutta quest’opera, anche nei momenti di maggior tensione drammatica. In questo senso è dunque significativa la presenza di una pagina come l’”Andantino grazioso” – fresco e delicato intermezzo nei modi e nelle movenze di un Ländler – anziché di uno Scherzo come di regola negli alti Trii. Quanto poi al primo movimento e all’aspetto formale, si può notare in questo saggio della estrema maturità brahmsiana una evoluzione nel senso della semplificazione e allo stesso tempo della radicalizzazione del metodo, da sempre caro a Brahms, di derivazione tematica da un’unica cellula generatrice: basterà solo l’esempio dei tre temi principali del primo movimento, tutti desunti dalla successione delle tre note dell’accordo perfetto (arpeggio ascendente il primo e triade discendente il secondo, mentre il terzo ripropone il secondo della sua esatta inversione).
(Francesco Dilaghi)