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§ Focus musicale | Sotto l’influsso di Robert Schumann

§ Focus musicale | Sotto l’influsso di Robert Schumann

In occasione del concerto streaming di sabato 27 marzo 2021, pubblichiamo le note a cura di Francesco Dilaghi per il programma di sala, conservato nel nostro archivio storico. Il programma è stato ideato dal pianista Jonathan Biss, che l’ha intitolato “Sotto l’influsso di Robert Schumann”.

Robert Schumann (1810-1856)
Märchenerzählungen, per clarinetto, viola e pianoforte, op. 132

Con i cicli dei Märchenbilder op. 113 e dei Märchenerzählungen op. 132 siamo, rispettivamente, nel 1851 e nel ’53. Il titolo di questi due brevi cicli – il primo dedicato alla viola con accompagnamento di pianoforte e il secondo ad un inusuale trio (ma con un illustre precedente mozartiano) di viola, clarinetto e pianoforte – fa esplicito riferimento al Märchen, cioè al racconto fiabesco, inteso non tanto come favola infantile quanto come narrazione popolare leggendaria, che tanto avrebbe nutrito la musica tedesca dalla prima stagione romantica fino a Brahms e a Mahler. L’interesse di Schumann per la viola è legato alla conoscenza con un virtuoso di questo strumento, J. von Wasielewsky, che già era stato suo allievo di composizione a Lipsia, e che fu anche il primo esecutore, insieme a Clara Schumann, dei Märchenbilder op. 113. Il ciclo dei Märchenerzählungen op. 132 (“Racconti di fiaba”), che apre il programma odierno attraversato dal filo rosso dell’omaggio al grande musicista romantico, è l’ultimo lavoro cameristico di Schumann; esso fu composto in soli due giorni, tra il 9 e l’11 ottobre 1853, e pubblicato nel febbraio 1854 con dedica all’amico Albert Dietrich. Il primo brano – “Lebhaft, nicht zu schnell” (“Vivace, non troppo veloce”) –, in si bemolle maggiore (che è anche la tonalità principale del ciclo), è un delicato dialogo tra viola e clarinetto sopra un motivo fisso di accompagnamento del pianoforte, solo a tratti venato di più malinconiche sfumature. Il secondo brano – “Lebhaft und sehr markiert” (“Vivace e molto marcato”) – ci offre un netto contrasto di carattere con il precedente: possenti accordi ripetutamente scanditi a due a due creano un’atmosfera minacciosa, sottolineata dalla tonalità di sol minore, ma con una sezione centrale più distesa. Sol maggiore è la tonalità del terzo brano – “Ruhiges Tempo, mit zartem Ausdruck” (“Tempo tranquillo, con delicata espressione”) – che ripropone un tenero, quasi estatico, dialogo tra clarinetto e viola. Tinte accese e vigorose caratterizzano fine il quarto ed ultimo brano – “Lebhaft, sehr markiert” (“Vivace, molto marcato”) –, scandito come il secondo da accordi fortemente ritmici; dopo la sezione centrale, più lirica e tranquilla, in sol bemolle maggiore, la ripresa del motivo principale porta ad una esuberante coda.

György Kurtág (1926)
Hommage à R. Schumann, per clarinetto, viola e pianoforte, op. 15d

Nato nel 1926 a Lugos (Lugoj) in Romania, György Kurtág è oggi considerato uno dei compositori più rappresentativi della scuola ungherese. Il suo linguaggio, partendo quasi inevitabilmente dall’esperienza bartokiana, si evolve presto verso soluzioni originali, assiilando alla lezione di Webern elementi del patrimonio popolare ed anche momentanei recuperi dell’armonia tonale. Ma sono molti anche i legami che uniscono la vicenda artistica di Kurtág alla grande tradizione musicale ottocentesca tedesca, dalla quale il musicista ha tratto i presupposti per la definizione del proprio linguaggio in una dimensione di profonda, essenziale continuità. Caso evidente è proprio questo breve ciclo di sei pezzi per pianoforte, clarinetto e viola – Hommage à R. Schumann, op. 15d – che rende omaggio al grande maestro tedesco non solo riproponendo l’organico della sua ultima composizione da camera, ma cercando di rivivere anche la profonda e travagliata dimensione psicologica da cui la sua musica ha tratto linfa vitale e ragion d’essere. Ritroviamo infatti, nei titoli dei singoli brani, dirette allusioni al mondo fantastico di Schumann e in particolare a quei personaggi di Florestano, Eusebio e Maestro Raro, che erano stati creati come proiezione immaginaria e fantastica della propria personalità dissociata: il primo entusiasta, appassionato, intransigente, animato da una ardente fantasia; il secondo più contemplativo, mite e sognante; il terzo come personificazione di quel superiore equilibrio tra le due antitesi, nel nome della tradizione e della profonda scienza musicale, che Schumann cercò per tutta la sua vita. I primi cinque brani del ciclo, che si presentano come oggetti musicali di aforistica brevità (la durata di ciascuno è inferiore a un minuto), hanno i seguenti titoli: 1. “Bizzarre piroette del Kapellmeister Kreisler” – (l’eccentrico personaggio letterario creato da E.T.A. Hoffmann che ha ispirato a Schumann la Kresleriana): “Vivo”; 2. “Eusebio: il cerchio delimitato” (“Molto semplice, piano e legato”); 3. “… e Florestano sentì le sue labbra contrarsi in un tremito doloroso” – (citazione tratta dalle schumanniane Davidsbündlertänze): “Feroce, agitato”; 4. “Ero una nuvola, adesso il sole ormai risplende” – (citazione dal poeta ungherese Attila Joszef, 1905-1937): “Calmo, scorrevole”; 5. “Nella notte” – (titolo che ritroviamo in uno dei brani schumanniani dei Fantasiestücke op. 12): “Presto”. Il sesto ed ultimo brano – “Commiato: Maestro Raro scopre Guillaume de Machaut”: “Adagio, poco andante” – è di dimensioni più estese e presenta una scrittura seriale di rigorosa costruzione, tale da giustificare il riferimento al grande contrappuntista medievale, massimo esponente dell’Ars Nova francese; il brano si conclude in un clima di lugubre quanto rarefatta tensione espressiva, fino ad un appena udibile rintocco profondo che suggella la composizione, quasi estremo battito cardiaco di una dolorosa esistenza.

Ludwig van Beethoven (1770-1827)
An die ferne Geliebte, per tenore e pianoforte, op. 98

Spesso ingiustamente relegato ai margini della produzione beethoveniana, il corpus della musica vocale da camera del sommo musicista trova proprio nel breve ciclo recante l’evocativo titolo An die ferne Geliebte(“All’amata lontana”) il suo momento più alto, sia per la qualità intrinseca degli esiti artistici, sia per il significato innovativo della concezione formale. Capolavoro della piena maturità (nacque nell’aprile 1816, quindi all’inizio dell’ultima stagione creativa, in concomitanza cronologica con la Sonata per pianoforte op. 101, non a caso anch’essa inaugurante una nuova concezione, più unitaria e ciclica, della forma sonata), questa «ghirlanda» di sei Lieder inaugura un genere che avrà largo seguito nei successivi musicisti dell’Ottocento, da Schubert e Schumann fino a Brahms, Wolf e Mahler, e cioè quello del ciclo liederistico unitario. La concezione beethoveniana va tuttavia al di là anche di quella schubertiana della Schöne Müllerin e della Winterreise, dal momento che i singoli Lieder che costituiscono il ciclo non sono conclusi e separati, ma sempre collegati direttamente l’uno all’altro da un intervento più o meno lungo del pianoforte. Escludendo l’Arianna a Nasso di Haydn (che di fatto non è un ciclo liederistico ma una grande scena drammatica affidata alla dimensione cameristica della voce con accompagnamento di pianoforte), An die ferne Geliebte non ha precedenti nel genere della musica vocale da camera e apre la strada direttamente ai capolavori schumanniani degli anni ’40; e non è un caso che proprio Schumann, negli anni del suo ardente amore per Clara, abbia voluto citare il tema finale di questo ciclo – in corrispondenza dei versi “Accetta allora questi canti / che ti offro, o mia amata” – nella sua Fantasia per pianoforte op. 17, che infatti è non casualmente posta a conclusione del programma odierno, come ideale dedica all’amata.

L’autore del testo – Alois Jeitteles, oscura figura di medico e poeta – probabilmente rispose ad una sollecitazione dello stesso Beethoven, confezionando sei poesie che svolgono, in termine staticamente lirici e tutto sommato convenzionali, il tema della nostalgia per la separazione dell’amata, attraversando vari stati d’animo – dalla malinconica rassegnazione al fiducioso anelito ad una futura felicità – e costruendo le situazioni poetiche col ricorso a quegli elementi della natura – cielo, monti, tramonti, fiori, ruscello e uccellini – che saranno tipici del mondo poetico del primo Ottocento, e di quello schubertiano in particolare. Non è dato sapere se la scelta di questo soggetto rispecchiasse una reale vicenda sentimentale di Beethoven: ma è lecito supporre, come molti studiosi hanno fatto, che quest’opera singolare e possente riecheggi gli struggimenti per la misteriosa figura dell’”Immortale Amata” e che ancora a lei, come poi Schumann avrebbe fatto nei confronti dell’amata Clara, siano idealmente offerti questi «canti» appassionati.

La concezione musicale di questo ciclo si rivela estremamente coerente e sottolinea in vari modi la sua forte idea unitaria: oltre ai già ricordati collegamenti del pianoforte tra un brano e l’altro, che di fatto eliminano ogni soluzione di continuità nel flusso della musica, Beethoven ricorre ad un itinerario tonale, per così dire, “speculare”: i primi tre Lieder partono infatti dalla tonalità di mi bemolle maggiore per arrivare a quella di la bemolle, mentre gli altri tre svolgono l’itinerario inverso (passando, rispettivamente, attraverso sol maggiore e do maggiore). A suggello, infine, di questa evidente idea unitaria (ma comunque sempre vivificata da una ricca gamma di situazioni poetiche ed espressive grazie all’ammirevole aderenza al testo poetico della musica e dell’accompagnamento pianistico in particolare), l’ultimo Lied ripropone il tema iniziale, gettando le basi per quella concezione ciclica della forma che sarebbe stata ripresa e sviluppata solo nella seconda metà del secolo.

An die ferne Geliebte op. 98 (testo di Alois Jeitteles)

1. Auf dem Hügel sitz ich spähend
In das blaue Nebelland,
Nach den fernen Triften sehend,
Wo ich dich, Geliebte, fand.

Weit bin ich von dir geschieden,
Trennend liegen Berg und Tal
Zwischen uns und unserm Frieden,
Unserm Glück und unsrer Qual.

Ach, den Blick kannst du nicht sehen,
Der zu dir so glühend eilt,
Und die Seufzer, sie verwehen
In dem Räume, der uns teilt.

Will denn nichts mehr zu dir dringen,
Nichts der Liebe Bote sein?
Singen will ich, Lieder singen,
Die dir klagen meine Pein!

Denn vor Liebesklang entweichet
Jeder Raum und jede Zeit,
Und ein liebend Herz erreichet,
Was ein liebend Herz geweiht!

1. Siedo sul colle, scrutando
l’azzurra distesa nebbiosa
per scorgere il lontano sentiero
dove, o mia diletta, t’incontrai.

Sono lontano da te,
monti e valli ci separano,
ergendosi fra noi e la nostra tranquillità,
tra la felicità e il nostro martirio.

Ah, non puoi raccogliere lo sguardo
che si spinge infuocato verso di te,
e il sospiro: essi si disperdono
nello spazio che ci divide.

Non giungerà più nulla fino a te,
più nulla che sia messaggero d’amore?
Voglio innalzare canti d’amore
che ti confidino la mia pena!

Poiché di fronte al canto d’amore
svaniscono lo spazio e il tempo
e ciò che un cuore amante consacra
raggiunge un altro cuore amante!

2. Wo die Berge so blau
Aus dem nebligen Grau
Schauen herein,

Wo die Sonne verglüht,
Wo die Wolke umzieht,
Möchte ich sein!

Dort im ruhigen Tal
Schweigen Schmerzen und Qual.
Wo im Gestein
Still die Primel dort sinnt,
Weht so leise der Wind,
Möchte ich sein!

Hin zum sinnigen Wald
Drängt mich Liebesgewalt,
Innere Pein.
Ach, mich zog’s nicht von hier,
Könnt ich, Traute, bei dir
Ewiglich sein!

2. Dove i monti, così azzurri,
si ergono
dal grigiore nebbioso,
dove si arrossa il sole
dove si sposta la nube:
là vorrei essere!

Là nella valle tranquilla
tacciono i dolori e le pene.
Dove la primula
medita quieta fra i sassi
e il vento mormora così sommesso:
là vorrei essere!

Là nel bosco che invita a meditare
mi attrae la forza dell’amore,
l’intinta pena.
Ah, nulla potrebbe allontanarmi di qui,
mia amata, se potessi essere
eternamente con te!

3. Leichte Segler in den Höhen
Und du, Bächlein, klein und schmal,
Könnt mein Liebchen ihr erspähen,
Grüßt sie mir viel tausendmal.

Seht, ihr Wolken, sie dann gehen
Sinnend in dem stillen Tal,
Lasst mein Bild vor ihr entstehen
In dem luft’gen Himmelssaal.

Wird sie an den Büschen stehen,
Die nun herbstlich falb und kahl,
Klagt ihr, wie mir ist geschehen,
Klagt ihr, Vöglein, meine Qual.

Stille Weste, bringt im Wehen
Hin zu meiner Herzenswahl
Meine Seufzer, die vergehen
Wie der Sonne letzter Strahl.

Flüstr’ ihr zu mein Liebesflehen,
Lass sie, Bächlein, klein und schmal,
Treu in deinen Wogen sehen
Meine Tränen ohne Zahl!

3. Voi che veleggiate leggere nell’alto,
e tu, piccolo ruscelletto,
potete ritrovare la mia diletta:
salutatela per me mille volte.

Guardatela, o nubi, mentre va pensosa
nella valle tranquilla,
fate sorgere davanti a lei la mia immagine,
nell’ariosa volta del cielo.

Ella starà accanto agli arbusti
che l’autunno spoglia e ingiallisce:
confidale quanto mi accade,
confidale, uccellino, la mia pena.

Porta volando vesti dimesse
all’eletta del mio cuore:
sono i miei sospiri che svaniscono
come l’ultimo raggio del sole.

Bisbigliale la mia supplica d’amore,
piccolo ruscelletto, fai che scorga
fedelmente nelle tue onde
le mie innumerevoli lacrime.

4 Diese Wolken in den Höhen,
Dieser Vöglein muntrer Zug
Werden dich, o Huldin, sehen,
Nehmt mich mit im leichten Flug!

Diese Weste werden spielen
Scherzend dir um Wang und Brust,
In den seidnen Locken wühlen,
Teilt ich mit euch diese Lust!

Hin zu dir von jenen Hügeln
Emsig dieses Bächlein eilt.
Wird ihr Bild sich in ihr spiegeln,
Fliess zurück dann unverweilt!

4. Queste nubi nell’alto,
questo gaio volo di uccelli,
potranno vederti, leggiadra fanciulla:
oh, prendetemi con voi, nel volo leggero!

Quelle vesti giuocheranno
scherzando sul tuo volto e il tuo seno:
nascosto nelle seriche pieghe
possa dividere con voi questo piacere!

Da quel colle, a te corre
rapido questo ruscelletto.
Fai che la sua immagine vi si rispecchi
e che torni poi qui, senza indugio!

5. Es kehret der Maien, es blühet die Au.
Die Lüfte, sie wehen so milde, so lau.
Geschwätzig die Bäche nun rinnen.

Die Schwalbe, die kehret zum wirtlichen Dach,
Sie baut sich so emsig ihr bräutlich Gemach,
Die Liebe soll wohnen da drinnen.

Sie bringt sich geschäftig von kreuz und von quer
Manch weicheres Stück zu dem Brautbett hierher,
Manch wärmeres Stück für die Kleinen.

Nun wohnen die Gatten beisammen so treu,
Was Winter geschieden, verband nun der Mai,
Was liebet, das weiß er zu einen.

Es kehret der Maien, es blühet die Au.
Die Lüfte, sie wehen so milde, so lau.
Nur ich kann nicht ziehen von hinnen.

Wenn alles, was liebet, der Frühling vereint,
Nur unserer Liebe kein Frühling erscheint,
Und Tränen sind all ihr Gewinnen.

5. Ritorna maggio, il prato fiorisce,
l’aria vibra così dolce, così tiepida.
I ruscelli tornano a scorrere, mormorando.

La rondine che torna al tetto ospitale
si costruisce con cura la stanza nuziale:
è l’amore che dovrà vivere là dentro.

Raccoglie operosamente, di qui e di là,
tante cose soffici per il letto nuziale,
tante cose calde per i piccoli.

Ora gli sposi vivono insieme, così fedeli:
ciò che l’inverno separa, il maggio congiunge.
Egli sa bene riunire chi si ama!

Ritorna maggio, il prato fiorisce,
l’aria vibra così dolce, così tiepida.
Io soltanto non riesco ad allontanarmi di qui.

Mentre la primavera congiunge tutto ciò che ama,
per il nostro amore soltanto non viene la primavera
e le lacrime sono il solo suo frutto.

6. Nimm sie hin denn, diese Lieder,
Die ich dir, Geliebte, sang.
Singe sie dann abends wieder
Zu der Laute süßem Klang.

Wenn das Dämmrungsrot dann ziehet
Nach dem stillen blauen See,
Und sein letzter Strahl verglühet
Hinter jener Bergeshöh;

Und du singst, was ich gesungen,
Was mir aus der vollen Brust
Ohne Kunstgepräng erklungen,
Nur der Sehnsucht sich bewusst.

Dann vor diesen Liedern weichet,
Was geschieden uns so weit,
Und ein liebend Herz erreichet,
Was ein liebend Herz geweiht.

6. Accetta dunque questa canzone,
diletta, che io ti canto.
Torna a cantarla a sera,
sull’aria di un dolce motivo.

Quando il rosso crepuscolo raggiunge
il quieto mare azzurro,
ed il suo ultimo raggio s’incendia
dietro a quella montagna,

allora canta ciò che io ho cantato,
ciò che mi è sgorgato dal petto,
disadorno,
ispirato soltanto dalla passione.

Di fronte a questa canzone svanirà
quanto ci divide tanto profondamente:
ciò che un cuore amante consacra
raggiunge un altro cuore amante.

 Robert Schumann (1810-1856)
Fantasia per pianoforte in do maggiore, op. 17

La Fantasia op. 17 costituisce una delle composizioni più significative del decennio 1830-40, di quel periodo cioè quasi esclusivamente consacrato dal giovane Schumann al pianoforte e all’amore per Clara Wieck. La gestazione di questo capolavoro è particolarmente complessa, sia per il suo protrarsi nell’arco di tempo di quasi quattro anni, sia per le diverse redazioni successivamente adottate prima di quella definitiva; il primo progetto dell’op. 17 risale infatti già forse alla fine del 1835 e doveva essere in un primo tempo il contributo di Schumann alla sottoscrizione tenacemente propagandata da Liszt per un monumento a Beethoven. Alla fine del 1836 Schumann scrive all’editore Kistner: «Florestano ed Eusebio desiderano contribuire al monumento di Beethoven e hanno scritto qualcosa per questo scopo con il seguente titolo: Rovine, Trofei, Palme, Gran Sonata per pianoforte per il monumento di Beethoven. […] La Sonata stessa, poi, è già di per sé rilevante. L’Adagio della Sinfonia in la maggiore di Beethoven figura come citazione in Palme». Ma questo progetto, che il musicista aveva concepito fin nei dettagli della rilegatura, non andò in porto; un anno e mezzo dopo, nel marzo 1838, Schumann parla ancora di questa “Sonata” in una lettera a Clara: «Il primo tempo è senza dubbio la cosa più appassionata che abbia mai scritto, un lamento profondo che sale a te»; un mese dopo, parlando di quest’opera, usa il titolo Dichtungen (“Poesie”), e il sottotitolo Ruine, Siegesbogen und Sternbild, (“Rovine, arco di trionfo e costellazione”). Finalmente nell’aprile 1839 questa grande opera pianistica, considerata dallo stesso Schumann il vertice della propria produzione, fu pubblicata dall’editore Breitkopf & Härtel, con il titolo però di Fantasia anziché di Sonata. A complicare ulteriormente la situazione, infine, va ricordata una versione manoscritta conservata oggi a Budapest, recante (oltre al frontespizio con il titolo Dichtungen e il numero d’opera 16) numerose correzioni autografe dell’autore; la novità principale di questa versione è il finale del terzo ed ultimo movimento, che aggiunge una coda quasi del tutto analoga al finale del primo movimento.

La Fantasia op. 17 si apre in un clima davvero “fantastico e doloroso” (questa infatti l’indicazione iniziale della partitura), con un tema discendente in ottave direttamente derivato dal «motto» di Clara, quel tema cioè che tanta parte ha nelle composizioni pianistiche di Schumann di questi anni, ed anche il secondo tema in tonalità di fa maggiore, più intimo e dolente, è una evidente trasformazione di questa idea tematica dominante; la parte centrale è costituita da un episodio che reca l’indicazione Im Legendenton, di carattere fiabesco e narrativo, che cede ben presto ad una drammatica e improvvisa riesposizione del primo tema. La coda del primo movimento racchiude un altro segreto omaggio d’amore a Clara nella citazione di una frase di un Lied beethoveniano tratto dal ciclo An die ferne Geliebte (“All’amata lontana”, titolo quasi significativo, almeno quanto il testo vocale della frase citata, che suona come una dedica: Nimm sie hin denn, diese Lieder, “Accetta allora questi canti”). Il secondo movimento, ugualmente tripartito ma in tonalità di mi bemolle maggiore, presenta un tema eroico e impetuoso in ampi accordi, ben presto scandito da un incalzante ritmo di marcia che domina un po’ tutto il brano (con la sola pausa dell’episodio centrale, più calmo, in la bemolle maggiore) e che alla fine dà vita ad una entusiastica esplosione di virtuosismo strumentale. Il terzo tempo è un “Adagio” intimo e solenne, con un primo tema che richiama ancora, trasfigurata, la linea discendente del motto di Clara e un secondo nel quale risuona ormai lontana e spenta l’eco della marcia precedente.