Ci racconta com’è nato il progetto “Invito alla danza”?
Si tratta della mia terza incisione per Deutsche Grammophon. È un programma di cui avevo avuto una vaga idea già qualche anno fa, quando mia figlia studiava danza, ed è nato in maniera molto naturale. Sono partito da alcuni brani che avevo già in repertorio e che avevo voglia e necessità di registrare. Da lì in poi mi sono sentito attratto dal genere della trascrizione, per cui è stato molto naturale compilare il programma come un omaggio al balletto. L’ho chiamato Invito alla danza perché il brano di apertura è il brano di Weber ma, programmaticamente, può dare il titolo a tutta la raccolta, nel senso che tutto il programma può essere considerato un mio personale invito alla danza. Mi piace dire che i pianisti sono dei ballerini nella misura in cui producono il suono tramite movimenti ben precisi, quasi facessero una coreografia. Ogni idea che l’interprete ha al pianoforte, la più trascendente e spirituale o astratta che possa essere, si deve tradurre in suono e, per essere tradotta in suono, il pianista fa effettivamente dei movimenti. Quindi, dal punto di vista didattico, a volte spiego che il pianista, come ovviamente ogni altro strumentista, è a suo modo un ballerino.
L’Invito alla danza è stato compilato partendo anche dal presupposto che tutto quello che andavo a eseguire sarebbe stato una trascrizione. Il primo brano, Invito alla danza di Weber, è l’unico concepito non per orchestra ma per pianoforte, ma nel disco e nel programma che eseguo a Firenze lo presento nella trascrizione di Carl Tausig, l’allievo di Liszt che ne ha fatto un brano che potremmo definire “in veste da concerto”. Peraltro, l’Invito alla danza di Weber presenta anche il problema della parte finale, dove in genere scatta l’applauso del pubblico prima che il brano sia finito, e allora Tausig collega con una cadenza il tutto in modo da renderlo più intelligibile secondo la logica dello spettacolo. Molto interessante è il fatto che si tratta di musica a programma, e proprio Weber, di suo pugno, spiega il significato del brano nell’introduzione, ovvero nell’invito da parte del ballerino nei confronti della ballerina, che prima declina, poi accetta, poi conversano, si presentano, si dispongono, e poi parte la danza. Quando si chiude la danza, questo grande valzer – peraltro, storicamente, il primo valzer di vaste dimensioni – il ballerino riporta a sedere la dama.
Il programma è dedicato non solo alla danza ma anche, in maniera specifica, al balletto. Le Suite dello Schiaccianoci di Čajkovskij e dell’Uccello di fuoco di Stravinskij sono a tutti gli effetti balletti, La Valse non è un balletto ma un poema coreografico scritto da Ravel per la compagnia dei balletti russi di Diaghilev – comunque un brano pensato per essere coreografato – mentre Coppélia è a tutti gli effetti un balletto. Abbiamo quindi tre balletti accertati e un poema coreografico che rientra pienamente nella letteratura ballettistica. Inoltre, abbiamo l’Invito alla danza, il brano strumentale di Weber, che entra nel repertorio perché è stato coreografato. Infine, il Prélude à l’Après-midi d’un faune di Debussy, brano sinfonico molto importante per la storia della musica che apre le porte alla musica moderna e che, dopo la coreografia del grande Nijinsky, è stato più volte ballato e coreografato. Quest’ultimo è forse l’unico brano, assieme a quello di Weber, che non è stato concepito come balletto, pur rientrando pienamente nel repertorio. Il brano per orchestra è stato trascritto da Leonard Borwick. È da notare che tutti i brani in programma sono stati trascritti, con l’eccezione di quelli di Weber e di Ravel. Ravel ha scritto di suo pugno la versione per pianoforte solo de La Valse ma si trattava di una specie di brogliaccio, una bozza che gli serviva per mettere su carta la versione per orchestra e per due pianoforti. Tanto è vero che generalmente gli esecutori integrano o modificano o migliorano la scrittura de La Valse. Il complimento più simpatico e gratificante che ho ricevuto da parte di un collega è stato che, sentendomi suonare La Valse, non si rimpiange la versione per due pianoforti.
Il genere della trascrizione mi appaga molto perché, da lisztiano appassionato, avendo frequentato alcune Parafrasi e Fantasie di Liszt su vari temi d’opera, trovo che la trascrizione esalti le potenzialità strumentali del pianoforte. Quindi il rapportarmi all’orchestra mi predispone alla ricerca delle infinite potenzialità timbriche dello strumento. Inoltre, il programma è estremamente virtuosistico, alcuni passaggi de Lo Schiaccianoci o de L’Uccello di fuoco rasentano l’ineseguibilità. Le musiche sono splendide e il pianoforte ne esce esaltato. Inoltre, il concept è fortissimo e il programma è diviso in due parti, la prima dedicata all’Ottocento e la seconda ai primi venti anni del Novecento con autori che sono pietre miliari nello sviluppo del linguaggio musicale del ventesimo secolo.
È stato infine sorprendente notare una curiosa coincidenza: il primo brano del programma è stato scritto nel 1819, l’ultimo completato nel 1919 e io ho registrato nel 2019. Abbiamo in pratica un secolo di letteratura musicale eseguita ad un secolo di distanza.