Giornalisti in classe

 “Giornalisti in classe” è un’iniziativa, a cura di Donatella Righini e in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti, che nasce all’interno del progetto “Artisti in classe” ed è finalizzata alla realizzazione di contributi scritti da parte degli studenti sui concerti e sull’esperienza dei concerti e degli incontri con i musicisti ospiti della stagione concertistica degli Amici della Musica di Firenze.

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IL CONCERTO DI RAFAŁ BLECHACZ (RECENSIONE)

È stato grazie al progetto “Giornalisti in classe” che noi studenti della 3BL, 4HTUR e 4BL ci siamo recati il 14 gennaio scorso al Teatro della Pergola di Firenze, per assistere al concerto del pianista polacco Rafał Blechacz. Nato nel 1985, è considerato il più grande interprete di Fryderyk Chopin della sua generazione e ha infatti vinto numerosi premi, tra cui il prestigioso concorso “Chopin” a Varsavia.

Appena entrati, i nostri sguardi si sono rivolti subito verso il soffitto e le pareti del grande ingresso. Ci ha accolti un’immensa sala bianca, abbellita con incisioni di figure umane sulle pareti, in stile greco, che portava ad una scalinata perimetrata da colonne in stile corinzio (per rimanere in tema) con il fusto in marmo tendente ad un color ocra, che contrastava con il colore predominante. L’ingresso era pieno di persone e per il tempo che abbiamo aspettato, prima di entrare nella sala dove si sarebbe tenuto il concerto, ci siamo divertiti a osservare attentamente le differenze tra una generazione e l’altra che si mescolavano nell’ambiente. I ragazzi della nostra età, di circa diciassette anni, erano soprattutto vestiti in maniera casual, quasi sportiva, con pantaloni della tuta e felpa. Le signore, invece, sfoggiavano pellicce vistose e calzavano tacchi estremamente “lucenti”. Due visioni diverse su come presentarsi a teatro. Dopo una ventina di minuti ci hanno permesso di entrare in sala, e ci siamo accomodati nei nostri posti di platea.

Anche la sala si presentava molto bene, con l’architettura tipica del teatro all’italiana.

Finalmente il concerto. L’esibizione del pianista Blechacz è stata tecnicamente eccezionale. La sua abilità è stata evidente nell’esecuzione precisa dei brani di Chopin, Debussy, Mozart e Szymanowski, nei quali ha mostrato notevole destrezza, con una particolare attenzione alla dinamica e alla varietà dei suoni. L’ interpretazione dei pezzi di Chopin, in particolare, è stata magnifica per la delicatezza e la profondità emotiva che è riuscito a trasmettere. La capacità di catturare l’essenza delle opere di Debussy e di rendere vive le melodie di Mozart è stata sorprendente. La performance di Szymanowski ha mostrato la sua abilità e il suo talento innato. In generale, la tecnica al piano di Blechacz è stata impeccabile e il controllo dei suoni ha reso l’esibizione un’esperienza decisamente notevole. È stato positivo anche il riscontro del pubblico, che ha apprezzato con molto entusiasmo e portato il compositore a fare il bis. In conclusione si può affermare che il pianista Blechacz è sicuramente uno dei migliori nel suo campo, capace anche di trasportare un po’ di Polonia, suo paese natale, nelle sue esibizioni con il pianoforte.

Immedesimandosi completamente nel pezzo che sta eseguendo, trasmette emozioni grazie alla sua espressività, sia nei movimenti che nel suonare il pianoforte. Questa è sicuramente un’esperienza che non può che risultare positiva, visto l’insieme delle numerose abilità di questo artista che ha reso il concerto piacevole per adulti e per ragazzi.

Dopo il concerto siamo andati alla Biblioteca delle Oblate dove abbiamo intervistato il pianista.

Recensione di Antonio Avadanei, Matilde Degli Esposti, Tiziano Santoro, Anisa Steaj, Yasmine Miftah (III B linguistico e IV H Turistico IISS “Calamandrei” di Sesto Fiorentino)

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INTERVISTA A RAFAŁ BLECHACZ

Sabato 14 gennaio, dopo aver assistito al concerto del pianista polacco RAFAŁ BLECHACZ, al Teatro della Pergola di Firenze, abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo nella Sala “Dino Campana” della Biblioteca delle Oblate, a due passi dal teatro. La conversazione si è svolta in lingua inglese, ma riportiamo l’intervista in traduzione.

In base a cosa ha scelto i brani da suonare per il concerto di questo pomeriggio?

Credo sia naturale che fosse importante per me voler suonare Chopin, perché ho registrato da poco un album di sue composizioni, che sarà pubblicato il prossimo mese. Ma per quanto riguarda la seconda parte ci tenevo a mostrare legami tra Chopin e altri artisti, per esempio Debussy. Per quanto riguarda Szymanowski, volevo suonare alcuni brani tipici polacchi che sono stati una grande ispirazione sia per me che per Chopin. Inoltre penso che ci sia un bel contrasto tra l’espressionismo di Szymanowski e l’impressionismo di Debussy. Per finire Chopin amava Mozart, quindi ho voluto suonare anche alcune sue opere.

Perché ha cominciato questa carriera?

La mia carriera internazionale è iniziata dopo la mia vittoria al Concorso “Chopin” nel 2005, ma prima ho partecipato ad alcune competizioni internazionali minori, come per esempio Hamamatsu in Giappone nel 2003, due anni prima dello Chopin. È stata un’esperienza molto importante per me, perché, grazie a quest’ultima, ho capito come pensare e come affrontare la prassi esecutiva chopiniana durante tutte le grandi competizioni, come il Concorso “Chopin”.

In base a cosa ha scelto di suonare la Polonaise op. 53, “Eroica”?

Ho iniziato a preparare questo pezzo circa due anni prima del concorso Chopin a Varsavia, quindi nel 2003. L’ho apprezzato fin da subito e per questo ho scelto di suonarla, oltre che al concorso, anche oggi.

Come si è preparato per il concorso Chopin?

Sicuramente per suonare al meglio ho dovuto fare più concerti possibili, relazionarmi col pubblico e suonare in modo naturale, ovviamente ho suonato e studiato tutti i giorni, anche concedendomi del tempo per pensare a come sviluppare l’interpretazione e mantenere lo stile unico di Chopin.

Ha mai suonato le Ballate? Se sì, quali?

Non ho mai registrato le Ballate, ma ho suonato la prima, la seconda e la terza durante i miei concerti passati.  Forse ritornerò a studiare le Ballate, ma senza registrarle.

Se tornasse indietro, farebbe di nuovo questo lavoro?

Penso di sì, è abbastanza difficile pensare a cosa avrei potuto fare oltre a questo, la musica è la mia vita.

Lei ha anche una laurea in filosofia: che cosa l’ha portata a conseguirla? C’è una correlazione con la sua carriera di musicista?

Sì, penso che ci sia una correlazione, in particolare con alcuni aspetti. Per esempio, mi stavo concentrando sulla fenomenologia, si tratta di una filosofia tedesca e ho letto dei libri scritti da Edmund Husserl, un filosofo tedesco che ha scritto un libro riguardante l’identità del mondo musicale e il contesto della sua interpretazione. Fu molto importante per me, fu veramente ispirante perché, per esempio, adesso sono molto più consapevole del fatto estetico, un’esperienza concettuale. Anche nella metafisica ci sono dei pezzi come le Polonaises, le Fantasie o la musica di Bach, parlare dei quali è molto difficile, ma parlarne attraverso i suoni rende tutto più facile.

Ha mai sentito la pressione dei suoi genitori?

I miei genitori non sono musicisti professionisti, quindi non ho avuto nessuna pressione.

Che genere musicale ascolta di solito?

Lo stesso che suono, quindi musica classica, ma mi piacciono anche generi di musica differenti, come ad esempio il jazz. A volte, quando sono in macchina, ascolto anche i tipici canali radio.

Come si sente prima di un concerto? Come la prima volta o adesso si è abituato?

Sono un po’ emozionato prima dei concerti e credo che sia una cosa bella, perché se non ci fossero emozioni prima del concerto, credo bisognerebbe preoccuparsi. Mi sento anche gioioso… specialmente dopo la pandemia.

All’inizio dei suoi studi, ha sperimentato altri strumenti? Se sì, quali?

Ho iniziato la mia educazione musicale con l’organo, infatti volevo diventare un organista. Poi, iniziando a suonare il pianoforte, ho capito che quello era lo strumento giusto per me. Ma, nel tempo libero, suono ancora l’organo nelle chiese.

Quando ha realizzato che questo sarebbe potuto diventare il suo lavoro?

Non c’è stato un momento preciso: è stato un processo naturale, ho sempre voluto diventare un musicista, condividendo la mia musica con gli altri.

Qual è il consiglio che darebbe a qualcuno che deve esibirsi davanti al pubblico?

Ogni artista è diverso, ha differenti personalità e diversi approcci con la musica, quindi il mio consiglio è quello di seguire sempre e solo il proprio istinto e il proprio cuore.

Qual è la cosa che le piace di più del suo lavoro?

Sicuramente condividere la musica con le altre persone, e questo è stato molto difficile durante la pandemia: ero nel mio studio solo col mio pianoforte. Difficilmente si riesce a comunicare in questo modo.

Intervista a cura degli studenti dell’IISS “Calamandrei” di Sesto Fiorentino: Buchetti, Cattari, Esposito, Metelli, Metti, Romagnoli, Tacchini, Timinti, Traversi (3B linguistico); Milione, Magri, Calvanese, Andreuccetti, Ulivelli, Mengozzi, Nerelyn Sumadic, Marrocchi (4H turistico); Chiti, Lucrezia (4B linguistico).

Docenti: David Mugnai e Marco Manzuoli

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Tanti TWEET dopo-concerto

Il concerto di Rafał Blechacz al Teatro della Pergola del 14 gennaio, al quale abbiamo partecipato, è stato per molti un “battesimo”, dato che la maggior parte delle classi non aveva mai assistito a un concerto di musica classica all’interno di questo bellissimo teatro.

L’atmosfera creata ha reso questa esperienza molto piacevole, interessante e coinvolgente, infatti il pianista ha catturato l’attenzione del pubblico, suscitando intense emozioni.

Dopo aver assistito al concerto ci siamo recati alla Biblioteca delle Oblate, precisamente nella sala “Dino Campana”, dove abbiamo intervistato il pianista.

Purtroppo non tutti sono riusciti a fargli qualche domanda, ma è stato comunque bello vedere come fosse disponibile l’artista nei nostri confronti.

Dal momento che molti di noi non avevano mai assistito a un concerto di musica classica, le sensazioni che abbiamo provato sono state molteplici: Giulia Cusenza e Melissa Pacini sono rimaste affascinate dalla passione che il pianista metteva nel suonare e si sono divertite molto, Dalila Fornari afferma che nonostante sia stata una giornata diversa dalle attività che fa di solito con i coetanei, si è divertita molto; a Dalia Grassi e Ahlam Mohajir piacerebbe riprovare quest’esperienza. Elisa Leoni è rimasta impressionata dal talento di Rafał Blechacz, e anche Martina La Rosa e Rosalba Di Lillo concordano dicendo che è stata un’esperienza unica e memorabile che rimarrà loro impressa.

A Marco Nardi è piaciuto molto questo concerto, ha apprezzato i brani proposti dal musicista. Anche Lapo Tortelli e Marco Ciatta affermano che il suo repertorio ha lasciato il pubblico incantato, in particolare la sua esecuzione della Polonaise-Fantasie in la bemolle maggiore op. 61 e l’interpretazione del “Rondò alla Turca” (una delle opere più famose di Mozart), che sono state intense e commoventi. Daniele Lazzerini sostiene addirittura che il pianista sia in grado di far piacere la musica classica anche a quelli a cui non piace; Lili Zhou, che solitamente non è un’amante della musica classica, è entrata in empatia con i brani proposti dal pianista, riuscendo così ad apprezzarli.

Juri Lucidi e Mbengue Moussa sono rimasti colpiti dall’esperienza di essere in un teatro, hanno imparato l’importanza del silenzio durante un’esecuzione.

Secondo Emma Faustini e Ajsela Gjeta il progetto al quale la scuola ha aderito è stato coinvolgente e formativo grazie all’incontro con il pianista.

Tratto dai tweet di studenti della terza B linguistico, quarta B linguistico e quarta H turistico dell’IISS “Calamandrei” di Sesto Fiorentino

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GIOVANI DI OGGI COME QUELLI DI IERI: LA MUSICA CONTEMPORANEA FA ANCORA DISCUTERE

di Donatella Righini

Autore contemporaneo che ascolti, reazione diversa che provi. Il Progetto “Artisti in classe – Giornalisti in classe” ha avuto il suo battesimo con il concerto di musiche di Silvia Colasanti, che ha avuto una ricaduta ottima e totalmente positiva. Il secondo dei concerti degli Amici della Musica dedicato a composizioni di autore vivente ha suscitato invece, negli studenti del Marco Polo, delle due terze del linguistico, reazioni diverse ma molto interessanti, discusse anche con l’autore stesso, Alessandro Solbiati, che li ha incontrati il 5 dicembre scorso, all’indomani del concerto di musiche sue, dedicate a Pier Paolo Pasolini. Il concerto era denominato come Lettura di testi poetici di Pier Paolo Pasolini in forma di spettacolo per voce recitante, soprano e pianoforte, dato che, infatti, ha visto coinvolto l’attore Fabio Zulli, che interpretava Pasolini muovendosi tra il pubblico recitandone i versi, che cominciavano dal racconto pasoliniano di sé attraverso il concetto di anima, luogo di attesa per chi ci porta alla vita, spunto, quest’ultima, per parlare di chi la vita a lui l’ha data, la madre. Ma anche per parlare delle sofferenze che la vita gli ha procurato, facendogli desiderare la morte. I versi sono stati accompagnati dal suono del pianoforte, nell’interpretazione di Maria Grazia Bellocchio e anche della voce cantante, Laura Catrani. Ebbene, in occasione dell’incontro e attraverso un questionario che le docenti di lettere dei ragazzi hanno loro somministrato, sono emerse reazioni che potrebbero essere quelle del pubblico adulto, solo che i ragazzi, forse, hanno espresso più sinceramente le loro opinioni. L’attore è stato il protagonista più apprezzato, definito “bravo e interessante”, “coinvolgente”, “aveva una voce profonda” ma, soprattutto, colpisce che abbiano detto di lui: “penso che il concerto perderebbe il suo sapore senza di lui, diventerebbe monotono”. Come mai? Ebbene, i ragazzi ne hanno discusso a lungo con Solbiati, perché secondo loro la sua musica e – per estensione – la musica contemporanea, non li coinvolge. Lui li ha provocati chiedendo cosa sono abituati ad ascoltare, quanta frequentazione hanno con la musica classica: hanno detto che la classica l’hanno sentita un po’ a scuola, ma preferiscono i concerti rock, pop, rap, a cui vanno abitualmente e durante i quali possono ballare, muoversi, cantare. Certo ci sono delle eccezioni: alcuni di loro suonano uno strumento, qualcuno canta, ma nei confronti della musica contemporanea sono stati poco persuasi. Solbiati ha raccontato loro di aver cominciato a provare interesse per questa musica quando fece un cluster sulla tastiera elettronica che aveva da ragazzo: dall’insieme di note poi si dipanano i suoni. Ha praticamente scelto il suo stile in questo modo, arricchendolo via via delle sperimentazioni che negli anni Settanta si facevano, sia sugli strumenti sia sulla voce, cercando di far suonare qualsiasi parte, ad esempio percuotendo le corde del pianoforte con oggetti vari, oppure appoggiando alcuni oggetti sulle corde e poi suonando i tasti in modo da produrre suoni/rumori (il cosiddetto “pianoforte preparato”). Non li ha però dissuasi: per la maggior parte di loro è musica “difficile”.

Tornando al questionario, alla domanda “Che emozioni ti ha trasmesso questa esperienza?” le risposte si allineano sul “Non l’ho capita e quindi poche emozioni” a “Mi sono annoiat* perché le parti di pianoforte erano davvero lunghe ma a tratti mi hanno catturato l’attenzione”, a “È stata un’esperienza diversa dal solito, abbastanza piacevole”, “È stato interessante scoprire questo nuovo tipo di musica”, “Non mi ha appassionato particolarmente”. Da segnalare “Questo concerto mi ha provocato emozioni contrastanti. Quando il piano era suonato da solo le note mi sembravano non combaciare tra di loro e non capivo dove volesse andare a parare la pianista. Quando però il piano era utilizzato per accompagnare la cantante, tra l’altro bravissima, allora le note sembravano abbracciarsi tra di loro e davano vita ad una melodia piuttosto orecchiabile. Non dico che mi abbia fatto impazzire, però credo che non sia stata neanche una brutta esperienza. È stato interessante entrare in contatto con questo tipo di musica e scoprirne le particolarità. Non ho capito a pieno quello che ho visto domenica sera, ma ho vissuto piuttosto bene il concerto”. E anche, “Ho attraversato infinite fasi, e provato altrettante emozioni: dalla confusione, all’amarezza, alla tristezza… ma ci sono stati anche momenti di stupore, di tranquillità e di trasporto. Momenti intensi, di curiosità o di tensione per esempio”. Ma interessante anche “È scioccante, solo che è diverso dai concerti di musica classica normali o come mi immaginavo, il che mi rende un po’ persa”. Come non ricordare gli anni Settanta e Ottanta, quando le sperimentazioni suscitavano tutto questo, magari però non veniva esternato con questa chiarezza? Solbiati è rimasto fedele a quell’epoca, a quei linguaggi e continua a suscitare, giocoforza, reazioni contrastanti. La sua cifra stilistica è questa. E se anche i giovani non sono stati catturati dalla musica contemporanea attraverso Solbiati, hanno saputo apprezzare la bravura delle esecutrici, sia la pianista Bellocchio sia la soprano Catrani. Eccone la prova, nelle risposte alla domanda delle docenti “Cosa ne pensi dei musicisti?”: a parte qualche manifestazione selettiva come “Ottima performance, ma non ho gradito il canto lirico”, che è comunque un apprezzamento alle esecutrici, prevale la linea “La pianista era molto coinvolta, era così sicura di quello che suonava da attirare completamente la mia attenzione e portarmi ad un profondo ascolto”; “Erano palesemente tutt’uno con la musica, la pianista con lo strumento, e ciò era molto evidente. Ammiro la loro insaziabile passione per quello che fanno, che li spinge a dare tutte se stesse andando oltre a qualunque eventuale ostacolo senza mai esitare. Tutto ciò mi ha fatta sentire “al sicuro” seppur la musica che stessero suonando, completamente nuova alle mie orecchie, mi facesse sentire terribilmente spaesata”.

Chiudiamo con una simpatica opinione sulle musiciste, che indirettamente riguarda anche Solbiati: “Mi sono piaciute entrambe, in particolare la pianista, e i brani che suonava sembravano di un film horror”.

Le classi coinvolte nell’incontro con Alessandro Solbiati sono state la 3°M e la 3°E dell’ITT “Marco Polo” di Firenze. Docenti: Laura Croce e Annaclaudia Franci

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INTERVISTA A SILVIA COLASANTI

(a cura della classe 5°F dell’ITT “Marco Polo” di Firenze – docente: Luca Perlini)

Domenica 16 ottobre noi alunni della classe 5°F dell’ITT “Marco Polo” di Firenze abbiamo avuto il piacere di assistere, nell’ambito del progetto “Artisti in classe”, alla prima serata del ciclo “Ritratti”, organizzata dall’Associazione Amici della Musica al Saloncino della Pergola e dedicata alla compositrice Silvia Colasanti. Durante il concerto abbiamo ascoltato tre brani scelti da lei: il primo di Claude Debussy, “Prélude à l’après-midi d’un faune”, il secondo di Claudio Monteverdi, “Ah, dolente partita!”, e il terzo, “Arianna e il Minotauro”, un melologo della stessa Colasanti per voce recitante, soprano ed ensemble.

La mattina successiva abbiamo potuto intervistare Silvia Colasanti, che si è collegata con noi su Google Meet. Ne abbiamo approfittato per chiederle alcune cose sul concerto della sera precedente, ma anche su di lei, sulla sua carriera e sul modo in cui interpreta il ruolo di musicista e compositrice.

PERCHÉ IN “ARIANNA E IL MINOTAURO” HA SCELTO DI ADOTTARE IL PUNTO DI VISTA DEL MINOTAURO?

Quest’opera mette in musica un testo di Dürrenmatt che fa proprio questo: riprende il mito dal punto di vista del Minotauro. Il Minotauro, dipinto sempre come mostro, in realtà è un essere fragile, un essere confuso, non consapevole, e in questo tipo di logica e di visione il Minotauro mostra, sì, le proprie ombre, ma mostrandole e prendendone consapevolezza ne esce come una figura molto più umana, sfaccettata e vera degli stessi uomini, che invece usano l’inganno per liberarsi di quello che considerano un mostro.

Nel mito del Minotauro o, in generale, negli altri miti su cui ho lavorato, mi interessa proprio mettere a nudo le fragilità e le ombre: io lavoro molto su questo, è qualcosa che mi permette, attraverso la musica, di lavorare sull’uomo. Alla fine, il concetto di mostruosità riguarda un po’ tutti noi.

RIGUARDO AL PROGRAMMA DI IERI SERA, PERCHÉ HA INSERITO UN BRANO DI MONTEVERDI E UNO DI DEBUSSY?

Credo che indagare il proprio passato, in un’epoca come la nostra, sia fondamentale, perché scrivere musica oggi non può prescindere dal carico e dal peso che la tradizione ci ha lasciato. Riguardo la scelta specifica di Monteverdi e Debussy, quest’ultimo è quello che ha aperto a tutto ciò che è stato il Novecento musicale, ha fatto da grande passaggio verso le avanguardie venute dopo. Monteverdi, invece, l’ho scelto perché per me è molto significativo: dato che io lavoro con il teatro musicale, credo che la lezione di Monteverdi resti una lezione imprescindibile in ciò che è il rapporto tra musica e parole. Secondo Monteverdi la musica deve sempre essere al servizio della verità drammaturgica del testo, e questa rimane, ancora oggi, una lezione fondamentale.

QUALI GENERI MUSICALI ASCOLTA?

Io ascolto musica classica, non per prevenzione verso gli altri generi ma perché mi sembra di avere ancora molte cose nella classica, e nella musica operistica, da ascoltare o da approfondire. Inoltre mi piace molto la musica dal vivo, e credo che lo streaming e la musica riprodotta non abbiano lo stesso valore e non riescano a far “riprovare” i sentimenti provati dal vivo.

QUAL È IL SUO RAPPORTO CON IL PUBBLICO E COME VORREBBE CHE IL PUBBLICO RECEPISSE LE SUE COMPOSIZIONI?

Per me scrivere musica è una forma di comunicazione. Quando scrivo tengo sempre a mente il destinatario. Mi metto nei panni del pubblico perché sono anche io “pubblico” di altri compositori e quando un compositore mi parla, mi fa scoprire in qualche modo qualcosa di me, mi tocca personalmente. Io non mi aspetto che il pubblico si rispecchi in me stessa ma che, piuttosto, trovi nella mia opera qualcosa che lo riguarda. L’importante è che arrivi qualcosa che ci permetta di conoscerci meglio, è questo secondo me ciò che dovrebbe fare l’arte.

FRA LE SUE COMPOSIZIONI, QUALE LE STA PIÙ A CUORE?

Un lavoro a cui sono ancora molto legata è “La Metamorfosi”, perché è stata un’esperienza di teatro musicale molto alta. Sono passati ormai 15 anni, però quel lavoro mi sta ancora a cuore.

QUAL È IL SUO STRUMENTO PREFERITO? SE C’È, QUAL È LO STRUMENTO CHE LE PIACE MENO?

Come avrete capito dal concerto di ieri, amo molto le percussioni. Ho inoltre una predilezione per gli archi: non ho potuto inserire altre cose nel programma del concerto che avete visto ieri, ma se avessi potuto farlo avrei messo qualcosa per archi della Vienna di inizio Novecento: quel fermento, quella malinconia, quel senso di decadenza, io li sento ancora molto vicini. Uno strumento che invece non amo è la chitarra: ho voluto scrivere un pezzo per chitarra e ci ho messo un sacco di tempo. Ho molta difficoltà con la chitarra perché avendo un suono così contenuto non mi permette di scrivere con quei contrasti che invece costituiscono una parte fondamentale della mia musica.

COME HA AFFRONTATO GLI EVENTUALI “BLOCCHI DEL MUSICISTA”? COME NE È USCITA? HA MAI PENSATO DI CAMBIARE MESTIERE? 

Cambiare mestiere no! Però sicuramente ci sono momenti in cui uno sente esaurite certe zone d’indagine e si trova un po’ spaesato, momenti in cui ricominciare a comporre sembra molto faticoso. In quei casi cerco sempre stimoli alti, sia nell’ascolto di nuove musiche, sia nella lettura. Per esempio, io sono molto legata alla poesia e in generale alla letteratura. Mi fermo un attimo, cerco di non fare l’errore di ripetere quello che ho già fatto fino a quel momento e lavoro su me stessa attraverso degli stimoli nuovi che mi possono far tornare a comporre in modo diverso.