In occasione del concerto del 5 giugno 2021, dedicato ai vincitori del Primo Concorso Internazionale “Piero Farulli” per Quartetti d’archi junior, pubblichiamo l’intervista fatta ai musicisti del Quartetto Shaborùz, vincitori del Primo Premio. Il Quartetto Shaborùz è formato da Angela Tempestini (violino), Amedeo Ara (violino), Caterina Bernocco (viola) e Marina Margheri (violoncello).
Ci raccontate brevemente la storia del vostro quartetto?
Angela Tempestini: Suoniamo insieme perché siamo tutti allievi della Scuola di Musica di Fiesole. Lo Shaborùz è stato formato all’interno della Scuola nel 2017 dal M° Edoardo Rosadini, che è il nostro insegnante di quartetto. Del nucleo originale siamo rimaste io e Caterina, la violista, e con la formazione di oggi suoniamo insieme da circa un anno e mezzo. Siamo tutti molto amici e ci conosciamo da parecchio tempo. Suonare insieme per noi è molto bello proprio perché abbiamo questo forte legame personale.
Da dove viene il nome del vostro quartetto?
Caterina Bernocco: “Shaborùz” è una parola iraniana che indica il contrasto e l’opposto. Esprime, quindi, un concetto di complementarità ma anche di differenza. L’abbiamo scelto insieme alla nostra prima violoncellista, Sarvin Asa, che è iraniana.
Qual è il vostro rapporto con il Quartetto op. 18 n. 2 di Beethoven? Quali sfide rappresenta questo lavoro per voi (musicali, tecniche, ecc.)?
Marina Margheri: Questo Quartetto ha un carattere apparentemente leggero, e la leggerezza tipica della prassi di questa musica è veramente complicata e difficile da replicare perché non permette mai di scaricare l’adrenalina (come può succedere in lavori, per esempio, di Brahms). In questo pezzo, invece, non è possibile sfogare la tensione nell’arco, nel suono, ed è necessario un grandissimo controllo. Forse, la difficoltà più grande è rendere questa sensazione di semplicità a chi ci ascolta, anche se il pezzo non è assolutamente semplice! Ci sono moltissimi incastri e, dal punto di vista cameristico, è veramente complesso e ogni passaggio necessita di uno studio dettagliato e approfondito. Su questo Quartetto abbiamo lavorato a lungo: quando siamo arrivati nello Shaborùz io e Amedeo abbiamo subito cominciato a studiarlo, anche se gli altri l’avevano iniziato a preparare già con la vecchia formazione. Quando siamo venuti a conoscenza del Premio Farulli, ci siamo subito attivati per fare arrivare questo lavoro a un buon livello.
Ci sono ruoli ben definiti all’interno del vostro quartetto?
A pensarci bene, non ci sono ruoli così scanditi nel nostro quartetto, piuttosto siamo interscambiabili: pensiamo che questo sia dovuto al fatto che siamo molto amici, che ci frequentiamo anche al di fuori della Scuola di Musica di Fiesole… Siamo sicuramente un organismo unico, che è quello che dobbiamo ottenere poi quando suoniamo insieme: un gruppo formato da persone diverse ma che ragionano con una testa sola. Anche se abbiamo caratteri differenti, troviamo sempre un punto d’incontro.
Qual è la prima cosa che farete una volta che questa pandemia sarà finita?
Amedeo Ara: Un concerto con un pubblico vero e musica d’insieme “grande”, per esempio suonare in orchestra. E, in generale, sarà bello avere finalmente un po’ di tranquillità quando si sta insieme.
Avete progetti futuri con il vostro quartetto che volete raccontarci?
Stiamo preparando altri pezzi e, quando si potrà, faremo sicuramente dei concerti.