Intervista al Trio Hieracon

Qual è il primo ricordo della tua vita legato alla musica che ti viene in mente?

Gioele Pierro: Il primo ricordo musicale che riesca a ricordare è senza dubbio legato alla figura del mio nonno materno. Con lui ho infatti trascorso gran parte della mia infanzia, durante la quale io e lui abbiamo spesso condiviso ascolti musicali di ogni epoca e di ogni genere, tramite un vecchio registratore. Lui mi fece dunque avvicinare al mondo della musica molto presto, ben prima che iniziassi a suonare uno strumento.
Gabriele Marchese: Il mio primo concerto in orchestra all’età di nove anni. Mi ricordo l’emozione che provai a essere parte di un tutto così armonioso, tanti bambini concentrati a costruire qualcosa di bellissimo.
Maria José Palla: Ricordo che quando ero molto piccola, non avendo né fratelli né sorelle e trascorrendo molto tempo senza compagni di giochi, era attraverso la musica che sfogavo molte emozioni. Cantavo e ballavo senza sosta.

Cosa ti ha spinto a iniziare a suonare uno strumento musicale?

Gioele: La spinta che mi ha portato a intraprendere lo studio di uno strumento è stata estremamente naturale e spontanea, senza impulsi esterni eccessivi o pressioni di ogni genere. È stato un processo sincero, nel quale l’esposizione prematura all’ambiente e al contesto musicali si è unita alla volontà di sviluppare una “distrazione di qualità”, parallela agli studi scolastici.
Gabriele: Fu il maestro Peter, conosciuto all’età di otto anni. Mi fece provare diversi strumenti e tra tutti concordammo che quello giusto per me fosse proprio il violoncello. Iniziai così a prendere lezioni in una scuola di musica della mia città con il costante supporto dei miei genitori, fondamentali nel mio percorso fin dai primi passi.
Maria José: Per gran parte della mia vita, dall’età di tre anni, ho fatto la ballerina praticando danza classica, moderna e contemporanea. Pur non avendo nessun musicista in famiglia sono sempre stata vicina alla musica proprio grazie alla danza. Durante gli esercizi alla sbarra, imparando le variazioni dei più celebri balletti, ero sempre più incantata dal linguaggio dei suoni, ed essendoci già legata da che avessi memoria, diventò concreta in me l’esigenza di voler imparare a suonare uno strumento.

Quando hai capito che eri brav* in quello che stavi facendo e che questa attività avrebbe occupato una parte importante della tua vita?

Gioele: Ho notato fin da piccolo una certa facilità da parte mia nel comprendere alcuni aspetti legati al ritmo, all’armonia e ai timbri musicali, oltre che una discreta velocità nel memorizzare e coordinare determinati movimenti. Tuttavia, non mi sono mai sbilanciato nel considerare la musica la parte fondamentale della mia vita e del mio lavoro fino all’età adulta; nello specifico, fino alla fine dei miei studi liceali. In quel periodo, turbato anche e soprattutto dall’emergenza Covid, ho finalmente compreso la portata del rilievo artistico e personale che la musica aveva per me, e che questo fosse l’ambito giusto in cui poter dare il massimo di me stesso e allo stesso tempo ricevere il massimo dell’appagamento.
Gabriele: Non credo di essermi mai sentito davvero “bravo”. Sarà che, come quasi ogni musicista, tendo a vedere di più il bicchiere mezzo vuoto! Ciò che mi spinge a continuare è quello che sento ogni volta che abbraccio il mio strumento per suonare con altri musicisti o da solo mentre studio. Ho sempre provato piacere nel suonare e non conosco nient’altro in grado di smuovermi così profondamente.
Maria José: Spesso non riesco a sentirmi brava, altre volte seppur direi a me stessa di esserlo stata, dentro di me ha più importanza la sensazione che mi ha fatta sentir brava, ovvero il motivo stesso per cui suono! Mi riferisco al legame che si crea con il pubblico durante il concerto, le emozioni che pur silenti arrivano dal pubblico mentre si suona e la magnifica sensazione di viversi a vicenda, viaggiare insieme alla scoperta dei più profondi misteri, talvolta paurosi e inquietanti, altre volte così teneramente infantili, ma sempre sinceri ed incredibilmente veri. Riesco a dirmi brava se abbandono gli schemi, le paure, i filtri e consento al momento di agire. La prima volta in cui ho intravisto veramente l’immensità di quello che può verificarsi durante un concerto avevo 18 anni, suonavo per la prima volta in pubblico Vallée d’Obermann di F. Liszt. Rimane uno dei miei più bei ricordi.

Ci sono stati dei momenti in cui avresti voluto mollare tutto e cambiare direzione?

Gioele: I momenti di dubbio e di incertezza sono da sempre alla base della vita emotiva di tutti i musicist, essendo noi continuamente esposti al resto del mondo dal punto di vista fisico, emotivo e artistico. Tuttavia, all’interno del mio percorso di studi ho incontrato persone in grado di insegnarmi la fondamentale arte del “vivere attraverso il dubbio”, e di usare i normali ostacoli, per lo più psicologici, come uno stimolo e non come una complicazione. Posso dire quindi che non c’è mai stato un momento in cui mi sono completamente sentito sopraffatto dal peso del mio studio e del mio lavoro.
Gabriele: Assolutamente sì. Nel periodo subito successivo alla mia laurea, l’Italia era blindata per via delle restrizioni per il COVID. Non vedevo sbocchi per il mio futuro e non sentivo alcuno stimolo che mi spingesse a continuare. Ammetto che ogni tanto ripenso a quel momento come cruciale nel mio percorso poiché ero arrivato molto vicino a cambiare strada. La decisione di continuare ha reso questa scelta ancora più forte di prima.
Maria José: No. Fino ad ora la musica è sempre stata, come quando ero piccolissima, la fedele amica che mi aiuta a superare i necessari momenti oscuri, sempre. Mi costringe a prendermi sul serio e a guardarmi con amore.

Qual è il momento più emozionante che ricordi della tua carriera musicale?

Gioele: I momenti speciali sono stati diversi e sono tutti scolpiti in modo molto nitido nella mia memoria. Sicuramente non posso fare a meno di pensare al primo concerto pubblico all’età di 8 anni, in cui sperimentai certamente delle suggestioni per me nuove. Ho un ricordo altrettanto piacevole di un concerto al Palazzo Carignano di Torino nel 2019, dove suonai la Ciaccona di Bach, i cui filamenti armonici sembravano quasi passare attraverso le decorazioni e gli affreschi seicenteschi, delineandone i tratti. Nel 2022 ebbi l’opportunità di suonare per la prima volta un brano scritto da me, nella chiesa di Santa Pelagia a Torino, e fu un’esperienza emotivamente molto intensa. Impossibile non menzionare anche il primo premio vinto con il Trio, al Concorso intitolato a Stefano Gueresi nel novembre del 2023.
Gabriele: Scelta ardua! Sono davvero tanti, come il primo saggio dei miei allievi, la prima volta in un’orchestra sinfonica, la prima opera lirica in buca, la laurea celebrata davanti alle persone a cui voglio bene… Ma uno dei ricordi a cui sono più legato è quello di un concerto con un’orchestra d’archi in una chiesa medievale a Saluzzo. Suonavamo la Suite III delle Antiche danze ed arie per liuto di Respighi. Durante il terzo movimento, la Siciliana, sentii come se il tempo si fosse fermato, sospeso. Avevo i brividi. Non lo scorderò mai.
Maria José: Sono tanti. Qualche mese fa ho suonato il concerto di A. Skrjabin per pianoforte e orchestra. Al mio ingresso, nel secondo movimento, ho avuto gli occhi incontrollatamente inumiditi dalla tenerezza di quel momento, così tanto che ho mancato qualche nota! Ma rimane decisamente uno dei momenti più emozionanti che abbia vissuto.

Ci racconti come hai conosciuto gli altri musicisti del Trio? Cosa ti piace del loro modo di suonare e come mai avete deciso di formare il vostro gruppo?

Gioele: La collaborazione con Gabriele e Maria José nacque in un periodo caratterizzato da una grande ricerca personale nell’analisi musicale e nell’esecuzione. Al momento della nascita della formazione, la nostra conoscenza l’uno dell’altro era molto poco approfondita, frutto di rapporti con persone in comune o di situazioni comunitarie; abbiamo però percepito tutti e tre fin da subito il fatto che fossimo accomunati dalla voglia di andare oltre alle solite attività di staccate e di impegnarci per ricercare ed ottenere un’armonia e una coesione di gruppo nell’affrontare una partitura musicale, e non solo. Con il passare dei mesi abbiamo instaurato un rapporto di profonda amicizia e posso confermare ancora oggi di star imparando molte cose da tutti e due.
Gabriele: Gioele e Maria Josè sono arrivati in un momento in cui stavo ritrovando la voglia di suonare che avevo smarrito. Mi hanno contattato chiedendomi se fossi interessato a collaborare con loro e, dopo un pranzo “esplorativo”, abbiamo deciso di iniziare insieme. Di Gioele adoro l’estro musicale e lirico oltre alla sua enorme cultura in fatto di musica, la sua conoscenza del repertorio e la sua intelligenza analitica; ogni prova con lui è una lezione di armonia! Di Maria Josè invece amo il talento e ne apprezzo l’innato istinto, l’eleganza del suo tocco sui tasti del pianoforte, la sua capacità di trovare sempre la soluzione migliore per condurre una frase musicale. Insomma, come dico sempre, loro per me sono stati un grande regalo.
Maria José: Ho conosciuto Gioele al conservatorio di Torino, l’avevo sentito suonare in quartetto d’archi e subito ho pensato che saremmo andati d’accordo su molte cose e sarebbe stato molto bello suonare insieme. Entrambi avevamo un forte desiderio di suonare in trio e abbastanza per caso ci siamo trovati a conoscere Gabriele, che sorprendentemente fin dalle prime prove abbiamo capito essere il musicista e la persona perfetta per noi.
Stimo tanto entrambi. Di Gioele adoro il fatto che non si accontenti mai e sia in evoluzione costante, ha tantissima fantasia e un magnifico ascolto. Mi piace tantissimo l’intuito di Gabriele, la sua libertà e apertura durante i concerti, che aiuta tanto qualsiasi persona suoni con lui.

C’è un brano musicale a cui sei particolarmente legat*? Vuoi dirci qual è e come mai?

Gioele: Scegliere fra i capolavori della musica occidentale non è facile; alcune composizioni, oltre ad avere un’immensa importanza storica e culturale, sviluppano un rapporto unico e non replicabile con chi le suona o le ascolta. Probabilmente il Quartetto op. 130 di Beethoven, nella sua completezza stilistica e al tempo stesso sfacciata avanguardia, è il brano che più di tutti gli altri associo alla musica, ai musicisti, all’arte e agli artisti. Rappresenta il viaggiare nel tempo, prima nel passato tramite il rispetto delle forme e delle strutture tradizionali, e poi nel futuro, testimoniato dal fatto che la Grande Fuga con cui termina il Quartetto appare ancora oggi come un pezzo di musica contemporanea, nonostante la composizione sia datata 1825. Esso è inoltre la celebrazione più luminosa ed esemplificativa della “considerazione artistica postuma”, in quanto non fu in grado di convincere completamente il gusto dei coevi di Beethoven, il cui giudizio ricadde principalmente sull’attributo “capriccioso”; persino il suo editore lo costrinse a scindere in fase di pubblicazione la grande fuga finale, ritenuta troppo lunga e indecifrabile per il pubblico. Nonostante questo, il tempo consegnò l’opera ai giorni odierni come uno dei più grandi monumenti della musica da camera e dell’arte occidentale, tanto che il miracoloso quarto movimento, la Cavatina, viaggiando nello spazio dal 1977 attraverso il Voyager Golden Record, con la finalità di una straordinaria “pubblicità terrestre” per un eventuale destinatario alieno.
Gabriele: La Nona di Beethoven, senza dubbio. Per me rappresenta l’apice della musica occidentale, una sorta di pietra di volta, insomma il capolavoro con la C maiuscola. Anche il Gabriele bambino sarebbe d’accordo: quando la ascoltai per la prima volta a dieci anni decisi che mi sarei dedicato alla musica classica. Ho con lei un rapporto viscerale e non nascondo che mi commuovo quando la ascolto ancora oggi.
Maria José: Da pianista direi la Sonata in si minore di F. Liszt, senza accorgermene è sicuramente entrata a far parte delle opere che mi accompagnano da più tempo. Ogni volta che la rievoco è un momento speciale. È sempre appoggiata al pianoforte. Non l’ho mai suonata in presenza di nessuno e cerco di posticipare il momento da diverso tempo. Per ora è una narrazione che muta con me, ho cambiato centinaia di punti di osservazione, e da ogni angolazione per me rimane una esemplare rappresentazione del dualismo di amore incondizionato.

Hai altre passioni oltre a suonare il tuo strumento (sport/lettura/viaggi/hobby vari/ecc.)?

Gioele: Nonostante la musica occupi una grande percentuale delle mie giornate, ho sviluppato negli anni un grande piacere nella lettura e nella scrittura, e ultimamente anche nella cinematografia.
Gabriele: Ho hobby molto diversi tra di loro nella mia vita, scrivere, recitare, arbitrare partite di calcio… Quello che però porto avanti con più assiduità è il Lindy Hop.
Maria José: Tante! Adoro danzare, viaggiare, fare dei cappellini all’uncinetto e regalarli alle persone a cui voglio bene, dipingere (male), leggere, cucinare, praticare Yoga, genericamente esplorare tutto ciò che non conosco.

Ascolti altri tipi di musica oltre a quella che suoni? Se sì, quali?

Gioele: Nutro un profondo interesse per molti generi musicali che (purtroppo) non mi capita spesso di suonare: dai jazzisti John Coltrane e Miles Davis, al rock anni ’70, con particolare riferimento agli AC/DC e gli Eagles.
Gabriele: Davvero di tutto, dal Jazz al Pop passando per il Rap (italiano e non), Metal, Funky, musica italiana anni Sessanta.
Maria José: Non ascolto tantissima musica. Trovo che il silenzio sia indispensabile per la creazione. Se non ho il silenzio la musica che suono nasce dal condizionamento, il quale mi impedisce di ascoltarmi davvero. Ma se non fossi una musicista di sicuro ne ascolterei tantissima! Adoro follemente l’opera e naturalmente ascoltare la musica dal vivo! Vado spessissimo a sentire concerti, e mi piace tanto assistere alle jam sessions. A casa, oltre al silenzio e alla musica che suono, talvolta riecheggiano musiche di altre terre: canti sacri indiani, musica strumentale orientale… Alcune volte ascolto il cantautorato italiano del secolo scorso.

C’è un disco – di qualsiasi genere – che consiglieresti a tutti di ascoltare?

Gioele: L’integrale delle Sonate di Schumann per violino e pianoforte di Martha Argerich e Gidon Kremer, 1986. Un perfetto esempio di come la musica nasca dal silenzio e diventi una vera e propria forma vitale attraverso il suono.
Gabriele: L’integrale delle Suites per violoncello di Bach incise da Jean-Guihen Queyras o Kind of Blue di Miles Davis.
Maria José: Trovo di grande ispirazione il duo Martha Argerich e Gidon Kremer nelle incisioni di Schumann e Prokofiev, anche se in generale mi verrebbe da consigliare prevalentemente registrazioni di concerti dal vivo, solitamente nettamente superiori ai dischi.

Qual è il libro che stai leggendo quest’estate?

Gioele: L’estate è certamente il periodo che sfrutto maggiormente per la lettura, avendo a disposizione più tempo libero. L’ultimo libro che ho finito di leggere qualche giorno fa è La Verità sul Caso Harry Quebert, un intricante giallo di Joel Dicker, edito da La Nave di Teseo.
Gabriele: Training Mentale per il Musicista di Renate Kloppel.
Maria José: Prossimamente suonerò tanta musica di R. Schumann, dunque sto leggendo nuovamente le pagine di diario scritte da lui e Clara raccolte in “Casa Schumann”.