Daniele Ghisi: alla ricerca dell’altrove

La conoscenza con Francesco Dillon risale a molti anni fa. Quando avevo all’incirca 18 anni venne a tenere una masterclass al Conservatorio di Bergamo, dove studiavo con Stefano Gervasoni. In quell’occasione suonò uno dei miei primi pezzettini – una cosa davvero pessima! – ma verso di me fu molto gentile e disponibile, e da allora siamo rimasti in contatto.
Una quindicina di anni fa ho scritto per il duo Dillon-Torquati il brano che riproporranno nel concerto, Trois Chansons, tre canzoni, concepite come trasfigurate parenti di tre Chansons di Ockeghem. È in quel momento che ho conosciuto Emanuele, con cui poi siamo stati spesso in contatto. In Chansons c’è l’idea di un lirismo che si può considerare il filo conduttore di tutto il programma, “la voce senza la voce”. Le Chansons sono scritte per violoncello, pianoforte ed elettronica. Nelle prime esecuzioni veniva impiegata un’elettronica low-fi ed Emanuele gestiva da solo un piccolo amplificatore che fungeva da trasduttore, cioè non emetteva il suono ma trasmetteva le vibrazioni alla cassa del pianoforte stando appoggiato sopra la tavola armonica.
Già da allora ero interessato agli strumenti in relazione all’elettronica, come se questa potesse rappresentare un “altrove” necessario. Gli strumenti sono un grande pachiderma che ci portiamo dietro: possono essere uno spazio di libertà enorme, affinato da secoli di storia e pratica, ma anche un limite molto vincolante. La cosa interessante per me è giocare con questo limite e, per farlo, ho bisogno di vedere che cosa c’è oltre. Il mio oltre lo trovo nell’elettronica.

Weltliche (che in tedesco significa “mondano”, “secolare”) consiste in trascrizioni per pianoforte ed elettronica – o potremmo dire attraversamenti – di alcune Cantate profane di Bach (Weltliche Kantaten). Anche in questi pezzi l’elettronica è diffusa tramite la cassa armonica del pianoforte, utilizzando sistemi leggermente migliori rispetto a quelli di quindici anni fa; è presente, inoltre, qualche sostegno di elettronica più tradizionale, attraverso altoparlanti. Anche qui il pianoforte si mette in relazione con questo “altrove” che è l’elettronica e che possiamo considerare come un grandissimo vestito colorato che avvolge il suono del pianoforte, di per sé piuttosto essenziale. L’elettronica contribuisce a proiettare Bach nel mondo che ci circonda. L’utilizzo della trasduzione invece della diffusione diretta con altoparlante rende il pezzo più cameristico e idealmente non ci sarebbe bisogno di amplificazione. (In realtà, ci sono limiti intrinseci anche in questo sistema: per esempio, è difficile spingere i livelli oltre un certo limite, e il filtraggio frequenziale dato dalla cassa del pianoforte cambia il colore del suono in maniera piuttosto marcata. Occorre quindi cercare dei compromessi per arrivare a un buon risultato.)

Il nuovo pezzo che presento in prima esecuzione si intitola Swing! e prende le mosse da registrazioni di altalene che vengono messe in dialogo con il violoncello. In questo caso l’elettronica è più classica: il violoncello è amplificato e riverberato, e la proiezione del suono avviene attraverso altoparlanti tradizionali. I cinque episodi che compongono il brano corrispondono ciascuno a una diversa altalena, registrata in un diverso momento dello spazio e del tempo. L’interazione musicale è piuttosto semplice: il violoncello sembra imitare le altalene e le altalene sembrano imitare il violoncello. L’idea che i suoni che ci circondano possono essere modelli per la musica, e non solo modelli per la vita, è un punto di vista che tocca i capisaldi della corrente del cosiddetto “spettralismo”. Le altalene sono per me particolarmente interessanti: avendo una bimba di sei anni e una di un anno, ho recentemente avuto a che fare con molte altalene, e ho iniziato a registrare i loro cigolii. Sono, in effetti, dei pendoli che presentano ripetizioni abbastanza regolari nel tempo, ma con una variabilità nella morfologia interessantissima: il cigolare può cambiare radicalmente da una ripetizione alla seguente, con salti di registro, di parziali, di timbro, facendo emergere in qualche modo veri e propri brani musicali. Ripetizione e variazione: una lezione di composizione en plen air.
Che la musica si possa trovare e non solo costruire è un’idea acquisita da quasi un secolo, ma per me rimane un’idea forte: mi piace pensare che la musica sia una scoperta più che un’invenzione.
Per Swing! sto lavorando in stretto contatto con Francesco Dillon, anche cercando di esplorare maniere di indicare le inflessioni, le variazioni timbriche, le rotture dei suoni che diventano altri suoni. Nelle partiture tradizionali tutto questo è quasi impossibile da indicare, quindi sto cercando una combinazione tra partitura ordinaria e partitura audio che possa dare un riferimento timbrico e di inflessione, a volte anche più importante delle note sul pentagramma.

Riguardo ai lavori romantici in programma, non c’è una relazione strutturale con i miei pezzi, nel senso che nessuno dei miei pezzi cita Brahms, Schumann o Mendelssohn esplicitamente. Tuttavia, questo tipo di repertorio romantico mi parla molto e, nonostante per alcuni versi mi sia distante, per altri invece c’è un’affinità poetica con la trama delle mie composizioni. Di Brahms suono spesso gli ultimi lavori per pianoforte quando sono a casa e quando voglio entrare nel suo mondo, un mondo caratterizzato da un lirismo pieno di meandri, di curve, di sovrapposizioni e di inciampi che producono risultati bellissimi.
Anche di Mendelssohn, che ascolto sempre con molta passione, mi interessa soprattutto la ricerca di un lirismo che a tratti è cristallino e a tratti edulcorato o anche sublimato.
La speranza è che i miei pezzi, nonostante siano molto distanti da un punto di vista estetico, possano entrare in dialogo con quelli dei grandi autori che ho scelto per questo mio concerto-ritratto.

Daniele Ghisi

Foto © Deborah Lopatin / Ircam