In dialogo con Stefano Montanari

“Stravaganze armoniche”, il programma che presenterà con l’ensemble L’Estravagante il 5 febbraio 2018 agli Amici della Musica di Firenze, prevede un’alternanza di Sonate scritte da Johann Sebastian Bach e Antonio Vivaldi. Quali sono le ragioni per cui avete scelto di combinare questi due autori? E cosa vi affascina del loro mondo sonoro?

Sì, effettivamente il programma è basato sull’alternanza di questi due compositori. Non è difficile scegliere tra due “mostri sacri” come questi due autori di una scuola e di un’altra. Il legame tra di loro c’era sicuramente. Sappiamo che Johann Sebastian Bach adorava Vivaldi e tra l’altro ha composto concerti per clavicembali basandosi sul materiale musicale – per esempio – dell’Estro Armonico. L’Estro in generale pervade l’ambiente musicale di quel periodo. Abbiamo sempre considerato e consideriamo il compositore tedesco come un compositore in cui la forma, la stabilità formale e la struttura prevalgono sul resto. E Vivaldi è uno degli esponenti più notevoli dello spirito italiano, colui che incarna più l’”invenzione”, anche considerando il titolo di alcune sue opere. È questo legame, questa combinazione di struttura, forma, inventiva e stravaganza che ci ha affascinato. E l’italianità – se possiamo adoperare questo temine – in musica e la struttura nella quale organizzare e gestire il materiale inventivo italiano. È un po’ quello che diciamo sempre quando parliamo della contrapposizione tra mondo germanico e mondo italiano. Sarebbe bello avere l’italianità con quel pizzico di teutonico. Sarebbe forse la cosa perfetta! A parte gli scherzi, siamo legatissimi a Vivaldi in quanto italiano ma soprattutto, per me violinista – ma anche per gli altri strumenti che compongono il gruppo – per la musicalità e la forma, per la capacità di tessere la tela musicale di Bach, che è qualcosa di incredibile.

L’Estravagante è un ensemble che si dedica al repertorio barocco, formato da musicisti di primissimo piano. Può raccontarci com’è nata l’idea di formare questo gruppo? Come scegliete il repertorio su cui lavorare?

Tutto nasce dal fatto che siamo tutti amici, oltre che professionisti musicisti, colleghi. Soprattutto con Maurizio Salerno c’è un’amicizia di lunghissima data, ci conosciamo dal 1990 o 1991, da quasi trent’anni. Abbiamo studiato per un periodo insieme e abbiamo fatto un sacco di esperienze, abbiamo suonato tantissimo in duo di violino e clavicembalo. C’è proprio un rapporto fortissimo. Poi pian piano abbiamo conosciuto tanti musicisti. Alcuni sono passati, alcuni sono rimasti, altri sono andati. Per esempio Maria Grokhotova è stata anche mia allieva, con Francesco Galligioni abbiamo un rapporto da tanti anni, abbiamo suonato in varie situazioni, con vari ensemble. Nasce dall’amicizia e dal piacere di ritrovarci, più o meno frequentemente, e divertirci. Il divertimento in musica, questa è l’idea dell’Estravagante. I repertori li scegliamo piuttosto su questa linea, tenendo conto di cosa ci piacerebbe fare, di cosa può essere interessante e utile anche al nostro sviluppo di musicisti e di cosa ci è più congeniale. Abbiamo fatto le Sonate di Pachelbel e le tre Sonate di Buxtehude quando collaboravamo con Rodney Prada, con la viola da gamba. Con le persone che in quel momento sono interessate, e con cui ci piace suonare, decidiamo i programmi.

Nella sua professione abbraccia diverse attività: violinista, direttore d’orchestra, direttore dalla tastiera (cembalo e fortepiano), e interagisce anche con diversi generi musicali, come testimonia la sua collaborazione con il jazzista Gianluigi Trovesi. C’è uno di questi ruoli in cui si riconosce maggiormente?

È vero, ho fatto tante cose e faccio ancora tante cose. Cerco in questo presente e per il futuro di farne meno, nel senso che l’età avanza e poi c’è la famiglia, ci sono mia moglie e i ragazzi che sono la cosa più importante che ho. E poi non sono un musicista a cui piace pensare solo alla musica. Ho bisogno di tante altre cose, ho bisogno della mia vita personale. È vero che in questi anni le ho dato poco spazio perché purtroppo – e meno male – quando si arriva a un certo punto di una carriera gli impegni sono tanti. Ho conosciuto Gianluigi Trovesi con cui ho fatto tante cose super interessanti grazie alle quali ho potuto conoscere persone che non avrei mai potuto conoscere altrimenti. Il mondo del jazz, che è un mondo pazzesco, con musicisti sensazionali, con la mente aperta. Ti offre un sacco di disponibilità, cosa che spesso non si trova tra i musicisti “classici” o anche barocchi, nel senso che si specializzano e si concentrano sul repertorio antico. La carriera di direttore d’orchestra è completamente un’altra cosa e faccio questo perché l’opera è un mondo assolutamente magico e mi ci trovo tantissimo. Adesso è la mia principale attività, in questo momento della mia vita ricopre un ruolo molto importante.

Direi che non c’è un ruolo in particolare in cui mi riconosco maggiormente. Dico sempre che il mio violino senza di me sta molto bene. Quando lo suono sto bene io e forse anche lui. Cerco di trovare le motivazioni in quello che faccio. Però in questo momento devo dire che il ruolo di direttore d’orchestra nell’opera è un ruolo che sento moltissimo.

Ha progetti futuri di cui vorrebbe raccontarci?

I progetti futuri sono (o sarebbero): lavorare meno e trovare più spazio per mia moglie e i miei figli. Un altro progetto futuro: mi piacerebbe tantissimo, anche per assecondare questo mio desiderio, diventare direttore principale in qualche bel teatro, possibilmente non troppo lontano da casa. Altro progetto futuro? Sempre con la musica. Di sicuro non ho intenzione di fare questa professione fino a quando sarò molto vecchio: non mi ci vedo a fare il violinista fino settanta o ottanta anni, se avrò la fortuna di arrivarci; e non mi vedo assolutamente a ricoprire il ruolo di direttore per ancora molto tempo. La mia idea è quella, tra un po’ di anni, di trovare un’altra via. Sarebbe molto bello.

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