Francesca Dego: in duo alla ricerca del meglio

Come è nata la collaborazione con Alessandro Taverna?

Lo conosco da anni, prima professionalmente, poi personalmente. Il primo invito a suonare insieme è stato da parte di Fazioli a Sacile nella stagione della Fazioli Concert Hall, durante la pandemia. Ci è stato chiesto di registrare la Suite italienne di Stravinskij per un concerto in streaming e ci siamo trovati talmente bene che abbiamo deciso di suonare con il grande cornista inglese Martin Owen i Trii per corno di Ligeti e Brahms, che abbiamo poi inciso per Chandos Records. Nello stesso periodo abbiamo cominciato a suonare anche in duo.
La Fantasia di Schönberg e la Sonata di Strauss sono diventati il focus dal nostro primo programma di recital insieme. Sono anni che suoniamo in duo e ci troviamo veramente bene. Alessandro è una persona di una gentilezza, coerenza, serietà professionale e profondità musicale realmente uniche. La cosa bella della musica da camera è che si tira fuori il meglio l’uno dall’altra; questo succede con Alessandro in palcoscenico. Siamo diversi ma anche molto simili nell’approccio e, soprattutto, ci piace trovare programmi vari e interessanti per il pubblico.

Come sceglie le opere che desidera eseguire in concerto?

Quando scelgo un programma di musica da camera ne discuto sempre con i partner artistici. In ogni caso, parto dal mio gusto e da qualcosa che porti il pubblico a rivisitare brani amati e conosciuti, ma magari anche a scoprire qualcosa di nuovo, accostamenti e collegamenti tra i brani, anche inaspettati. Il programma di Firenze è un programma di pezzi unici: la Fantasia è l’ultimo lavoro strumentale di Schönberg, una piccola sonata in miniatura che utilizza canoni tradizionali di articolazioni e di forme, rivisitate con linguaggio dodecafonico. È come sentire sprazzi di tradizione, una canzone a noi nota ma cantata in una lingua che non conosciamo. È l’unico brano di Schönberg per violino e pianoforte, come anche la Sonata, un pezzo amatissimo e giovanile di Richard Strauss. La Kreutzer di Beethoven è forse la sonata in assoluto più importante di tutto il repertorio.
Sono tre assaggi, tre momenti rappresentativi fondamentali per la storia del duo di violino e pianoforte che mettono alla prova entrambi gli strumenti. Sono brani molto difficili, musicalmente e tecnicamente. Per quanto riguarda il pianoforte, la Sonata di Strauss è leggendaria per la sua difficoltà, la Fantasia di Schönberg per il violino è mostruosa. In questo senso è un momento di condivisione di due solisti perché l’attività principale sia mia che di Alessandro Taverna è quella solistica, quindi ritrovarci da cameristi, ma proporre quelle che sono le nostre forze strumentali, è molto divertente.

Generalmente nella scelta dei programmi, anche se non è questo il caso specifico, perché in questo caso parliamo di capolavori del repertorio cameristico, mi piace anche riscoprire autori, soprattutto italiani che vengono eseguiti meno all’estero, e il repertorio di questi autori meno eseguiti. Mi riferisco per esempio ai Concerti per violino e orchestra di Busoni e Wolf-Ferrari che ho inciso per Chandos Records e Deutsche Grammophon ma anche al Concerto di Castelnuovo-Tedesco che qualche anno fa avevo riportato per la prima volta a Firenze. Mario Castelnuovo-Tedesco era di Firenze, quindi è stato un bellissimo momento, anche tutta la sua famiglia è arrivata dagli Stati Uniti. Credo siano operazioni importanti di riscoperta del nostro repertorio italiano meraviglioso. Questa è una cosa che mi sta molto cuore, ma soprattutto le mie scelte sono sempre dettate da vera passione, non ho mai eseguito e non eseguo musica che non mi appassiona o che mi venga chiesto di eseguire per motivi non condivido. Inoltre, credo che la fiducia del pubblico, come per la programmazione di una stagione – quindi la fiducia nel direttore artistico – sia importante anche per l’artista che si esibisce o che incide un disco. L’artista deve proporre un programma e il pubblico deve sapere che, anche se non conosce un pezzo, si può fidare che quell’artista gli proponga qualcosa di interessante e magari tutto da scoprire.

Ha studiato con grandi maestri del violino. Qual è l’insegnamento più prezioso che ha ricevuto e che ancora oggi la accompagna?

Ho avuto grandissimi insegnanti e ognuno mi ha veramente riempito la testa e il cuore di fondamentali informazioni per affrontare questo mondo, sia quello del palcoscenico che il rapporto di ogni giorno con le partiture di questi grandi capolavori. Può essere schiacciante affrontare ogni giorno lo studio di grandi capolavori e trovare quell’equilibrio tra il senso di se stessi, compreso il farsi vedere dal palcoscenico, e il rispetto totale per la partitura. Il momento dell’esecuzione è un equilibrio fragilissimo tra questi aspetti; quindi, i grandi insegnamenti che ho ricevuto sono sempre stati sul calibrare la propria libertà sulla libertà degli altri con cui si condivide il palcoscenico, ma anche sul rispetto della partitura e sull’utilizzo del proprio estro creativo.
Un insegnamento che mi rimane impresso è quello del grande direttore inglese Sir Roger Norrington con cui ho inciso l’integrale dei Concerti Mozart e con cui ho collaborato a lungo. Lui aveva un modo di dire riguardo a quando ci si fanno troppi problemi, si pensa all’interpretazione e non si sa come uscire da un dilemma, da come affrontare un fraseggio e dalla costruzione della propria idea di un brano. Lui spesso diceva che la risposta è davanti agli occhi, di solito è la cosa più semplice e la summa di questo suo pensiero era l’acronimo “K.I.S.S.” in inglese, che lui utilizzava per dire “Keep It Simple, Stupid”, quindi per dire: “sciocchino, mantieni semplice la decisione”. Credo a volte, quando ci facciamo troppi problemi, trovare un sorriso o un momento di leggerezza sia molto importante. L’altra sua massima riguardo alla musica di Mozart, che mi fa sorridere anche solo a pensarci e che condivido pienamente, è che non si possa suonare Mozart se non si è in grado di sedersi per terra e far ridere un bambino.
Da lui ho imparato, ovviamente nel rispetto e nello studio, a cercare sempre la freschezza, la comunicatività e la semplicità delle soluzioni senza arrovellarsi nella retorica.