Qual è il primo ricordo della tua vita legato alla musica che ti viene in mente?
Elenoir Javanmardi: Il mio primo ricordo legato alla musica risale al saggio di canto alle elementari: avevo sei anni e cantai Il valzer del moscerino, la stessa canzone che mia madre mi intonava per farmi addormentare. Salire sul palco e vedere tutte quelle persone che mi ascoltavano con attenzione mi fece sentire speciale, come se la musica avesse davvero un potere unico.
Eleonora Testa: Il primo ricordo che ho legato alla musica risale probabilmente a quando avevo circa quattro anni, anche se non si tratta di un momento specifico. Mio padre è violoncellista e io mi addormentavo vicino al puntale del suo violoncello mentre studiava. Allo stesso modo ricordo vividamente quando, nello stesso periodo, mia madre e mio padre suonavano insieme e provavano il Trio n. 2 di Šostakovič in salotto.
Federico Del Principio: Il mio primo ricordo – o forse il primo che mi è stato raccontato e che sento come mio – risale al mio primo compleanno. Alcuni amici di famiglia, appassionati di canto e musica popolare abruzzese, intonarono brani della tradizione accompagnandosi con l’organetto “ddu botte”. Io, che a malapena arrivavo all’altezza del tamburo, li seguivo battendo il tempo con una bacchetta. Di quel momento mi resta il video e una foto che conservo ancora oggi: una piccola testimonianza di come la musica fosse già entrata a far parte della mia vita.
Cosa ti ha spinto a iniziare a suonare uno strumento musicale?
Elenoir: Ricordo di aver visto in televisione un concerto dell’Europa Galante con Fabio Biondi che suonava Le quattro stagioni di Vivaldi. Rimasi letteralmente incantata per tutto il tempo, non riuscivo a distogliere lo sguardo. Alla fine dissi ai miei genitori che volevo assolutamente imparare a suonare il violino, ed è così che è iniziato tutto.
Eleonora: Come dicevo, avere entrambi i genitori musicisti è stato senz’altro un elemento fondamentale nella scelta di intraprendere questo percorso, così complicato ma allo stesso tempo affascinante e curioso agli occhi delle persone — figuriamoci a quelli di una bambina nata e cresciuta in quell’ambiente! Nonostante nessuno dei due mi abbia mai “forzata”, sono stati entrambi molto costanti e di sostegno in questa scelta.
Federico: Sono nato ad Atri, un paese d’Abruzzo con una tradizione musicale e corale secolare. Mio padre è stato socio fondatore di un coro maschile – attivo da oltre trent’anni – e di un coro a quattro voci miste: in casa la musica non è mai mancata. Ho respirato sin da subito quell’atmosfera di passione e condivisione che accompagna chi canta per il piacere di stare insieme. Un ricordo che mi ha segnato profondamente è stata la mia prima volta a teatro ad Atri, da bambino, per assistere a La Bohème di Puccini: la potenza e completezza (musica, scenografia, regia) dell’opera mi ha emozionato al punto da farmi capire che volevo vivere in quel mondo sonoro.
Quando hai capito che eri brav* in quello che stavi facendo e che questa attività avrebbe occupato una parte importante della tua vita?
Elenoir: Non credo ci sia un momento preciso: chi suona uno strumento è sempre alla ricerca della sua versione migliore. Però ho capito fin da subito che il violino non sarebbe stato solo un passatempo, ma qualcosa di molto più grande. All’inizio è stata una passione travolgente, poi lentamente è diventata parte della mia identità, fino a trasformarsi nel mio lavoro. Non riuscivo e non riesco tuttora a immaginare una giornata senza avere il violino tra le mani.
Eleonora: È difficile dire di aver capito di essere brava, perché la verità è che più si va avanti con l’esperienza e con il livello, più si alza l’asticella e meno ci si sente soddisfatti. La fortuna di avere genitori che mi hanno sempre incoraggiata è che ho saputo quasi da subito che il violoncello sarebbe stato fondamentale per la mia vita e per la mia quotidianità.
Federico: Più che sentirsi bravi, credo sia importante sentirsi sostenuti. Nel mio percorso la famiglia è stata il primo porto sicuro, e a quel sostegno si sono aggiunti i maestri – fari di vita e di arte – e gli amici che credono insieme a me in ciò che faccio. Sono loro che mi hanno fatto intuire che la musica non sarebbe stata solo un interesse, ma una parte fondamentale della mia vita.
Ci sono stati dei momenti in cui avresti voluto mollare tutto e cambiare direzione?
Elenoir: All’apparenza la nostra disciplina sembra soprattutto fisica: ore e ore di studio, di tecnica, di esercizi che mettono alla prova il corpo. In realtà, la vera sfida è tutta nella mente. Richiede una dedizione costante, una forza silenziosa che spesso vacilla proprio nei momenti più delicati. Ci sono giorni in cui, nonostante il fisico sia pronto a reggere la fatica, è la forza psicologica che mi abbandona. Ma credo che sia proprio questo il fascino del musicista: danzare continuamente sul filo sottile tra fragilità e resistenza, e trovare ogni volta un nuovo motivo per rialzarsi e continuare a suonare.
Eleonora: Forse non completamente, ma ci sono stati sicuramente dei periodi in cui ho dubitato delle mie capacità e, di conseguenza, di non sentirmi all’altezza della carriera che sogno da sempre. Tuttavia, la costanza nello studio e il sostegno delle persone che ho avuto attorno a me sono stati fondamentali per superare quei momenti.
Federico: Come accade in ogni percorso, anche il mio è stato segnato da alti e bassi. Da bambino, un’insegnante particolarmente dura mi aveva quasi fatto perdere la voglia di studiare: la paura della lezione stava soffocando la gioia della musica. Se non fosse stato per mio padre e per la mia famiglia, che hanno colto la criticità e mi hanno guidato verso altri maestri, forse avrei abbandonato. Ho avuto la fortuna di incontrare poi chi mi ha accompagnato nella preparazione all’ammissione al Conservatorio, restituendomi fiducia e desiderio. Credo che la fortuna ci sia sempre, ma va accolta con determinazione e obiettivi chiari. Lo sport è il parallelo più diretto con la musica: richiede disciplina, sacrificio e la capacità di rialzarsi dopo una caduta. Come dice Bebe Vio: «Se sembra impossibile, allora si può fare».
Qual è il momento più emozionante che ricordi della tua carriera musicale?
Elenoir: Una delle città che mi ha sempre affascinata è Salisburgo. Ci andai in gita in quinta superiore e ricordo di aver visto il Mozarteum solo dall’esterno: osservavo i musicisti che uscivano da quella che consideravo una delle scuole più prestigiose d’Europa, e mi sembrava un sogno irraggiungibile. Anni dopo, il giorno dell’ammissione al master al Mozarteum con il mio Trio, ho provato una delle emozioni più forti della mia vita: la sensazione di essermi davvero realizzata. Se in quel momento avessi potuto sussurrare qualcosa alla ragazza che, da adolescente, guardava quella scuola con occhi pieni di sogni, le avrei detto: ‘Tra qualche anno sarai tu a varcare quelle porte.
Eleonora: Direi senza dubbio la prima volta che ho suonato il Concerto di Schumann con l’orchestra, davanti al mio insegnante Antonio Meneses, che è venuto a mancare un anno fa e con cui ho studiato da quando ero praticamente una bambina. Mi rimarrà per sempre impresso il fatto che il primo applauso fragoroso di tutta la sala sia stato il suo (ho riconosciuto chiaramente il suo urlo iniziale, di cui conservo tuttora il video) e ancora di più il suo abbraccio all’uscita e il suo sguardo fiero.
Federico: Un momento indelebile è stata la diretta su Radio3, nel maggio dell’anno scorso, dalla Cappella Paolina del Quirinale. È stato il culmine di mesi di lavoro intenso trasformato in un concerto che ci ha travolti di emozioni: dall’ingresso, con lo stupore di varcare da “ospiti speciali” il palazzo del Presidente della Repubblica, alla consapevolezza di essere in diretta per 60.000 ascoltatori – praticamente come avere davanti il pubblico dello Stadio Olimpico di Roma. Ma ciò che mi ha commosso fino alle lacrime è stata la presenza delle persone più care: la mia famiglia, il maestro, i nostri allievi che hanno viaggiato fino a Roma pur di non mancare.
Ci raccontate come vi siete conosciuti? Cosa vi piace del suo modo di suonare degli altri musicisti del gruppo e come mai avete deciso di suonare insieme?
Elenoir: Io e Federico ci siamo conosciuti molto prima della nascita del Trio Fenice: oltre alla musica, ci lega anche la vita sentimentale. Con Eleonora, invece, ci siamo incontrate all’Accademia Stauffer, ma il vero legame è nato durante un festival di musica da camera in Sicilia, dove abbiamo scoperto una sintonia speciale. Di entrambi adoro l’espressione musicale: suonare con loro è ogni volta un piacere e una scoperta. E poi c’è un’altra passione che condividiamo, quella per il buon cibo, che rende ancora più belli e indimenticabili anche i momenti fuori dal palco.
Eleonora: L’aspetto che apprezzo di più nel suonare con Elenoir e Federico è legato al loro modo di fare musica in generale: suonando insieme ho sempre l’impressione che cerchino di fondersi quando possibile in un unico suono e in un’unica idea, cosa che molto spesso gli riesce perfettamente, dato che hanno un ottimo orecchio e una grandissima sensibilità che sono molto felice di poter condividere con loro.
Federico: Io ed Elenoir ci conosciamo da quasi dieci anni, ben prima della nascita del Trio Fenice, con un legame nato al di fuori dell’ambito artistico. È stato il mio maestro Trovajoli a suggerirmi di pensare di costituire un trio con pianoforte, anche considerando che Elenoir fosse violinista. Lo scorso luglio si è unita al trio Eleonora: sul calendario può sembrare recente, ma dal punto di vista umano e musicale è come se ci conoscessimo da sempre. Ogni prova e ogni concerto sono occasioni per rafforzare una coesione che cresce non solo sul piano musicale, ma soprattutto sul piano umano.
C’è un brano musicale a cui sei particolarmente legat*? Vuoi dirci qual è e come mai?
Elenoir: Sicuramente il Trio di Brahms op. 8 n. 1. È stato il primo piano trio che ho ascoltato e per me è stato un colpo di fulmine, un amore incondizionato fin da subito. In quest’opera c’è tutto: la gioia, la speranza, il senso di comunità, ma anche la tristezza, la rabbia e la nostalgia. È un vero turbine di emozioni che riesce a racchiudere l’intera complessità dell’animo umano. Non perdete l’occasione di ascoltarlo dal vivo: sarà uno dei brani che eseguiremo in concerto, e vi assicuro che ne vale davvero la pena.
Eleonora: Mi viene in mente Ständchen, un Lied di Schubert che mia madre mi faceva ascoltare sempre e che poi, una volta cresciuta, abbiamo anche suonato insieme. In generale sono molto affezionata alla liederistica, proprio perché mia madre mi ha trasmesso la passione per quest’arte che unisce musica e poesia.
Federico: Scegliere è difficile, forse impossibile, perché ogni brano porta con sé un pezzo di vita. Restando nel repertorio per trio con pianoforte, il terzo movimento del Trio op. 8 n. 1 di Brahms (che tra l’altro eseguiremo proprio per Amici della Musica di Firenze) ha sempre avuto per me un significato speciale. È una pagina che sembra rallentare il tempo reale, con un inizio di sospesa immobilità che conduce a un unico grande climax liberatorio. Ogni volta che lo eseguiamo sento che mi porta nei luoghi più profondi e personali, in quelli che non si possono raccontare con le parole. Non a caso, quasi sempre si conclude con una lacrima.
Hai altre passioni oltre a suonare il tuo strumento (sport/lettura/viaggi/hobby vari/ecc.)?
Elenoir: La mia più grande passione, oltre alla musica, è sicuramente la cucina. Amo preparare i piatti della tradizione abruzzese ovunque io vada, ma mi piace anche sperimentare nuove ricette. In Trio, oltre a condividere la musica, condividiamo anche diverse intolleranze alimentari… quindi spesso mi ritrovo a fare da “cuoca di bordo”, assicurandomi che durante i nostri infiniti viaggi non restiamo mai a bocca asciutta. In fondo, cucinare per chi si ama è un po’ come fare musica: è un modo per prendersi cura degli altri.
Eleonora: Sono una viaggiatrice accanita: non riesco a stare ferma in un posto per troppi giorni, perché mi sento incatenata. Ogni viaggio che faccio (che sia di lavoro o di piacere) mi lascia sempre profondamente arricchita dal punto di vista emotivo e culturale. Altre passioni sono la lettura e il cinema, che purtroppo sono diventate un po’ più altalenanti da quando studio all’estero e gli impegni si sono fatti più fitti.
Federico: Sì, la cucina è sicuramente una grande passione e, in un certo senso, è diventata anche una tradizione del Trio Fenice. Personalmente adoro il basket, ma amo anche disegnare e prendermi cura delle piante, attività che coltivo più in silenzio, quasi come un gesto intimo.
Ascolti altri tipi di musica oltre a quella che suoni? Se sì, quali?
Elenoir: Sì, ascolto anche altri generi musicali oltre a quello che suono. Nella mia playlist non mancano mai i Coldplay, gli Imagine Dragons e Ed Sheeran: adoro come le loro canzoni riescano a trasmettere emozioni così diverse e potenti, anche se lontane dal repertorio classico che suono ogni giorno.
Eleonora: Assolutamente sì. Ascolto moltissimi generi: tra i miei preferiti ci sono il rock soft, psichedelico e blues, il jazz, il soul, il cantautorato italiano e, a volte, anche una buona dose di pop. Tra gli artisti che ascolto di più ci sono i Beatles, Stevie Wonder, Nina Simone, Mina, Riccardo Cocciante e molti altri.
Federico: Decisamente sì. Credo che la musica sia una sola: cambiano i linguaggi e, per noi musicisti, le specializzazioni. Mi piace spaziare dalla musica popolare al pop, e sogno di approfondire il jazz – anche se per ora mi sento ancora un ascoltatore curioso più che un interprete. Amo molto quei generi, come la musica da camera, il jazz e la musica popolare che si basano sull’ascolto reciproco e sulla capacità di comunicare senza parole: improvvisando, aggiungendo sfumature, inventando. Ed è affascinante scoprire come ognuno traduca questa comunicazione in modo diverso: quello che per me è una luce, per Elenoir o Eleonora può avere una sfumatura diversa che loro accolgono e rielaborano durante le prove e i concerti.
C’è un disco – di qualsiasi genere – che consiglieresti a tutti di ascoltare?
Elenoir: Consiglierei di ascoltare ÷ (Divide) di Ed Sheeran. È un disco che riesce a raccontare storie quotidiane con sincerità e musicalità: ogni canzone trasmette emozioni universali, che parlano a chiunque, indipendentemente dal genere musicale a cui si è abituati. Ascoltarlo è un promemoria del potere della musica di unire, emozionare e farci sentire davvero compresi.
Eleonora: Non è un disco in particolare, ma consiglierei l’integrale delle sinfonie di Mahler dirette da Claudio Abbado. Sono un viaggio nell’iperspazio.
Federico: Italyan, Rum Casusu Çikti di Elio e le Storie Tese. È un album che considero unico perché intreccia ironia, nonsense e una ricerca musicale raffinatissima. Ad un primo ascolto si resta spiazzati dalla sua apparente follia e dall’egocentricità dei testi, ma è proprio in quello straniamento che si nasconde il suo valore: imparare ad ascoltare oltre l’apparenza, lasciandosi sorprendere da scelte musicali non convenzionali. Lì dove molti vedono solo comicità, c’è invece una grande cultura musicale, capace di spaziare tra generi diversi e di mescolarli con leggerezza e intelligenza. È un disco che insegna ad apprezzare la libertà creativa, a non avere paura di rompere gli schemi e a cercare il senso anche dove sembra regnare il caos.
Qual è il libro che stai leggendo quest’estate?
Elenoir: Di solito leggo soprattutto quando sono in viaggio, ma ultimamente la mia priorità è un po’ diversa: dormire! Tra concerti, prove e spostamenti, il sonno è diventato il mio momento di ristoro più prezioso. Spero però di riuscire a riprendere la lettura appena possibile, perché un buon libro resta sempre una compagnia speciale.
Eleonora: Cavie di Chuck Palahniuk, un libro estremamente crudo e a tratti disturbante, che devo ancora capire a fondo perché l’ho iniziato da molto poco.
Federico: Sto leggendo Mendel dei libri di Stefan Zweig. È un libro breve, che si legge in poche ore, ma che lascia talmente tanti spunti che vale la pena rileggerlo più volte. Zweig, che amava moltissimo la musica classica, riesce a unire la sua sensibilità al tema della Seconda guerra mondiale, regalando riflessioni profonde sulla fragilità e sulla forza degli esseri umani, senza mai scadere nel banale.
