Il programma monografico su Ravel che presenterà in concerto copre un ampio arco temporale delle sue opere pianistiche. Quali sono le ragioni di questa scelta e qual è il filo conduttore che lega i vari brani?
Nel 2025 celebriamo il 150° anniversario della nascita di Ravel, e sto presentando la sua opera completa per pianoforte solista in ordine cronologico in vari concerti in tutto il mondo. Si tratta di un grande recital, composto da due ore e mezza di musica suddivise in tre parti con due intervalli. Per gli Amici della Musica di Firenze abbiamo scelto una versione più breve, di dimensioni più consuete per un recital. Ho dovuto fare scelte difficili nella selezione dei brani, ma volevo comunque offrire un percorso cronologico rappresentativo dei vent’anni della sua produzione pianistica. Inizierò con il suo primo lavoro per pianoforte, la Sérénade grotesque, e concluderò con la sua ultima opera, Le tombeau de Couperin. Devo aggiungere che Ravel è l’unico compositore con cui mi sento veramente “francese” quando lo suono.
Ravel e Debussy sono due pilastri della sua discografia. Da interprete, potrebbe spiegare brevemente quali sono le caratteristiche distintive di ciascun compositore?
Pur essendo contemporanei, vivendo nella stessa città, frequentando gli stessi ambienti e respirando la stessa atmosfera culturale, i due compositori sono estremamente diversi. Anzi, trovo che abbiano più elementi che li separano piuttosto che tratti in comune. Per semplificare, Debussy è un modernista che ha infranto molte regole relative all’armonia e alla struttura della composizione musicale, mentre Ravel mantiene sempre un riferimento al classicismo, sia nell’armonia che nella forma delle sue opere. Una melodia di Ravel è facilmente cantabile, mentre è molto più difficile canticchiare un brano di Debussy!
È stato allievo di Pierre Sancan, grande pianista, compositore, direttore d’orchestra e pedagogo francese. Vuole condividere con noi un ricordo del suo maestro?
Pierre Sancan era un pedagogo straordinario, con un approccio molto razionale allo studio del pianoforte. In quanto compositore, pianista concertista e direttore d’orchestra, aveva una visione musicale a 360 gradi. Trattava il pianoforte come un’orchestra, riferendosi alle voci non come “mano sinistra” o “mano destra”, ma piuttosto come voce del violoncello o voce del flauto. Aveva una mentalità molto aperta: spesso iniziavamo le lezioni con un’improvvisazione jazz a due pianoforti e poi proseguivamo per un’ora, durante la quale mi trasmetteva le sue leggendarie diteggiature per Ondine. Le sue lezioni erano un’esperienza che cambiava la vita. Ma, soprattutto, mi ha insegnato a diventare il maestro di me stesso. Sono molto orgoglioso di aver inciso Sancan – A Musical Tribute, un disco dedicato alla sua musica così affascinante, che include un Concerto per pianoforte meraviglioso, oltre ad alcune miniature virtuosistiche per pianoforte e lavori orchestrali. Il suo Boîte à musique è un vero gioiello per i giovani pianisti.
Intervista realizzata con il contributo di Luca Berni
Foto © Ben Ealovega