Michele Campanella e “il formidabile fallimento di un’utopia”

Nel suo concerto eseguirà la Nona Sinfonia di Beethoven nella trascrizione per due pianoforti di Liszt. Quali sono, da interprete, gli aspetti che più la stimolano di questo monumentale lavoro?

La Nona è la conclusione dell’intero ciclo delle Sinfonie trascritte da Liszt, che è stato il programma del mio festival “Spinacorona, passeggiate musicali napoletane” nell’anno del Covid, e quindi registrato per la Rai, in assenza di pubblico. La mia consuetudine con gli originali delle Sinfonie di Beethoven risale alla mia adolescenza, quando il desiderio di dirigerle era ancora un’ipotesi possibile. Poi la vita mi ha spinto altrove, ma la voglia di entrare nel vivo delle creazioni beethoveniane non è certo diminuita. Ho aspettato decenni prima di realizzare in parte il mio sogno, con l’esecuzione della Pastorale, dell’Eroica e della Nona. Esiste la versione di quest’ultima per un solo pianoforte, ma Liszt stesso l’ha smentita trascrivendola per due tastiere. Il discorso sulle parafrasi e sulle trascrizioni (sono due cose molto diverse) è troppo serio per limitarlo a pochi concetti. Nel libro Il mio Liszt ho definito le trascrizioni beethoveniane il formidabile fallimento di un’utopia. Liszt era un idealista: la sua intenzione era di rendere omaggio al compositore che amava e rispettava di più (accanto a Wagner), e i limiti inevitabili della trascrizione in se stessa passavano in secondo piano davanti alla sua appassionata dedizione. Tuttavia tengo a dire che, a fronte di quello che si perde dell’originale, la struttura, lo scheletro armonico, il formidabile senso del ritmo che innerva la musica sono tutti lì e li riconosciamo come creazione di Beethoven e non di Liszt.

Insieme a lei sul palco ci sarà Monica Leone, con cui ha un profondo sodalizio artistico e personale.

Mi piace dire che un tempo Monica è stata mia migliore allieva, e spero con tutto il cuore di averle insegnato a esprimersi in piena libertà intellettuale ed emotiva. Oggi mi sembra di essere io l’allievo e lei la maestra. A distanza di oltre 25 anni di vita insieme e di lavoro fianco a fianco e spesso seduti davanti alla stessa tastiera, la diversa prospettiva non sorprende. Suonare con Monica mi ha indotto a moderare il mio Io e ad apprezzare anche i momenti in cui lei ha le più belle melodie (suona sempre come “primo”) e io l’accompagno modestamente. Le melodie di Monica le ascolto come se le suonassi io: è bellissimo.

Ha una straordinaria carriera, non solo come pianista ma anche come scrittore, didatta e operatore culturale. C’è un brano che considera come una sorta di “manifesto” del suo percorso artistico?

A questa domanda ho sempre risposto che il mio pezzo “preferito” è quello che sto studiando. In verità mi riesce difficile fare delle scelte che non sono necessarie. I pianisti sono invidiati dagli altri strumentisti per la straordinaria messe di capolavori che hanno a disposizione… perché scegliere? La cosa più bella che possa capitare a un musicista è riprendere a suonare un brano lasciato nel cassetto per un lungo periodo e scoprire che il tempo trascorso ci permette di rileggere la musica con maggiore consapevolezza. La nostra esplorazione non finisce mai e diventa la compagna di tutta la vita.