I musicisti che interpreteranno la mia musica – il soprano Rosaria Angotti, il violoncellista Alessandro Mastracci e la pianista Laura Sebastiani – provengono tutti dal Conservatorio “A. Casella” de L’Aquila, dove anch’io ho studiato e dove ho iniziato a insegnare 23 anni fa. Il mio legame con questo Conservatorio affonda le sue radici nel passato e continua ancora oggi. Per questo motivo ho voluto elaborare un programma che esplora il rapporto oscillante tra passato e presente.
Questi tre musicisti hanno già eseguito la mia musica in precedenza e con grande maestria. Per questo li ho invitati per questa occasione: il programma è nato proprio mettendo insieme loro e scegliendo brani che rappresentano un ponte tra il passato e il presente. Ho selezionato dal mio repertorio opere che conservano un legame con il passato ma che ho rielaborato nel tempo, un approccio che ho ereditato dal mio maestro Azio Corghi. Questo modo di comporre consiste nel reinterpretare il DNA del passato trasportandolo nella propria realtà musicale. Nel mio caso ciò avviene in particolare quando scrivo per il pianoforte, strumento a cui sono legata per formazione.
I brani in programma derivano tutti da commissioni ricevute in passato. Il primo, La corda barocca, per pianoforte preparato, mi fu commissionato da Carlo Boccadoro per uno spettacolo di Moni Ovadia. Poiché il pianoforte è uno strumento piuttosto estraneo alla cultura sefardita su cui si basava lo spettacolo, ho cercato di trasformarne il suono per avvicinarlo a quello di due strumenti mediorientali. Attraverso una preparazione molto semplice, con gomme da cancellare e una corda metallica, il pianoforte assume nel registro grave un timbro simile a tamburi intonati mentre nel registro medio-acuto richiama il suono di uno strumento a pizzico, quasi un sitar o un oud.
Il legame tra Bach e il mio lavoro nasce da una commissione ricevuta durante la pandemia da un pianista residente oltreoceano. Questo progetto sfruttava la distanza, elemento caratteristico di quel periodo, per commissionare a vari compositori nuove interpretazioni delle Invenzioni a due o tre voci di Bach. Per il mio brano Seven, ho scelto la Sinfonia n. 7 in mi minore a tre voci, estraendone solo l’inciso iniziale e collocandolo al centro della composizione. Il brano inizia altrove e conduce progressivamente alla citazione bachiana per poi ripartire in moto retrogrado: l’intera seconda parte è una retrogradazione contrappuntistica della prima. Sebbene il risultato appaia distante da Bach, il linguaggio del brano si avvicina a tratti a sonorità quasi jazzistiche.
Il mio legame con Mario Castelnuovo-Tedesco, oltre alla mia grande ammirazione per lui, nasce anche dal fatto che ho recentemente avuto l’opportunità di conoscere sua nipote che porta avanti l’eredità del nonno nel mondo. Inoltre, essendo Castelnuovo-Tedesco fiorentino, la sua musica diventa un omaggio alla città che ci ospita. La connessione principale, però, è legata a Shakespeare: entrambi abbiamo musicato testi shakespeariani, lui nei Sonetti e io nel Macbeth. Per il mio brano My Fair Lady ho selezionato frammenti del testo originale di Shakespeare per costruire una sorta di melologo in cui Lady Macbeth lancia la sua invettiva contro il Re. Si tratta di un pezzo intenso, suddiviso in sezioni, per rappresentare la follia del personaggio. My Fair Lady è incorniciato nel programma dai due sonetti di Castelnuovo-Tedesco, uno dei quali ho rielaborato personalmente per soprano e violoncello. L’elaborazione e la trascrizione di opere di altri fanno parte del percorso di ogni compositore: come in una bottega artigiana, si inizia lavorando sui modelli dei grandi per poi sviluppare un proprio linguaggio. Inoltre, questa scelta consente una pausa alla pianista, creando al contempo uno stacco timbrico e introducendo il suono del violoncello che diventa centrale nella seconda metà del programma.
Dark Sun funge da preludio al primo movimento della Sonata op. 27 n. 2 di Beethoven che segue immediatamente. Il brano è concepito per essere eseguito prima della Sonata in un continuum sonoro. Beethoven è un pilastro dello studio pianistico e questa composizione è nata da una commissione ricevuta per l’anniversario beethoveniano del 2019.
L’ombra che il suono perpetua, scritto oltre vent’anni fa, è un omaggio a Schumann e alla sua splendida raccolta Bilder aus Osten per pianoforte a quattro mani. In particolare, mi sono ispirata al quarto brano della raccolta, un riferimento alla mia lunga attività come pianista e, per quindici anni, come membro del duo pianistico Astarte con Laura Miconi, che ora vive e lavora a Firenze. Questo pezzo rappresenta una sorta di addio nostalgico alla mia carriera nel duo pianistico e, nel programma, l’ho accostato ai Fantasiestücke, un capolavoro perfettamente adatto alla formazione dell’ensemble. Nella mia vita da pianista ho approfondito molto Schumann e come compositrice lo considero un avanguardista con visioni straordinarie. Attualmente sto lavorando a un progetto dedicato a Kinderszenen e Kreisleriana basato su un dialogo, intorno alla creatività, tra i due personaggi immaginari del compositore tedesco, Florestano e Eusebio, realmente sul palco in quanto interpretati dal pianista e da me compositrice.
Il programma prosegue con un brano per violoncello solo (o per violoncello e voce ad libitum), Come un’orazione, scritto anche questo vent’anni fa e a me molto caro in quanto registrato, all’epoca, da un caro amico e collega, anch’egli docente del Conservatorio de L’Aquila, recentemente scomparso.
Infine, concludiamo con un brano tratto dal ciclo Note di gusto, una raccolta di venti canzoni dedicate a ricette italiane, ciascuna in un dialetto diverso, una per ogni regione. Dopo aver realizzato versioni orchestrali e per ensemble (incisa, questa, su CD per l’etichetta Tactus), mi è stata richiesta una versione più snella, che potesse essere eseguita anche all’estero, come avverrà a Malta il prossimo giugno. Invece di realizzarla da sola, ho coinvolto due talentuosi studenti del mio Conservatorio, compositori e pianisti, nella trascrizione pianistica delle canzoni, mantenendo il soprano e la “batteria di cucina”. Questo metodo di lavoro si ispira ancora una volta alla tradizione della bottega artigiana, dove il maestro prepara il cammino per gli studenti i quali, a loro volta, sviluppano un linguaggio personale. Ho quindi rielaborato la versione della ricetta Ris, patàn’e coz (regione Puglia), arrangiata da Jacopo Petrucci, aggiungendo il violoncello. Sto realizzando l’intera versione del ciclo, in espansione enologica, con pianoforte e violoncello, oltre che con gli ingredienti fondamentali di soprano e batteria di cucina, che sarà presentata nel 2026 in prima esecuzione a L’Aquila, anno in cui la mia città sarà capitale italiana della cultura.
Roberta Vacca
Foto © Laura Bianchi