Quando deve definire il programma di un concerto, quali sono i criteri che normalmente adotta per scegliere i brani da suonare?
Ci sono diversi criteri importanti che sono difficili da spiegare in poche parole e che dipendono dalla specificità di ogni programma. Ma potrei accennare a tre principi fondamentali: coordinamento stilistico (non posso mettere Mozart e Skrjabin nella stessa parte del programma, per esempio); coordinamento delle tonalità delle opere, come si seguono e si coordinano tra loro. E infine, quella che posso definire la drammaturgia generale del programma, che sarà diversa da un programma all’altro: per esempio, non posso inserire l’ultima sonata di Schubert nella prima parte del programma, che dovrebbe essere riservata alla fine del concerto… La drammaturgia può essere rivelata dalla dinamica della profondità delle opere, come si può notare anche dal mio prossimo programma. Ma può anche essere basato sul principio dei contrasti emotivi nel caso di cicli con brani molto corti.
Cosa ci vuole per penetrare nei mondi segreti di Schumann o Brahms, Liszt, Skrjabin o Schubert, questi compositori che ama così tanto?
Una vita, e molto altro ancora. I loro mondi con cui convivo quando lavoro e quando non lavoro. Le loro opere, le suono e le lascio, le riprendo e le riscopro. E questo continuerà per tutta la mia vita. Una grande opera d’arte, sia essa musicale o letteraria, è inesauribile. Puoi passare una vita intera a leggere e rileggere un libro, così come non smetti mai di scoprire la ricchezza di un capolavoro musicale. È affascinante come possiamo tornare a un’opera e riscoprirla come se fosse la prima volta.
Lei viene spesso definito come “il poeta della tastiera”. Quanto si sente vicino a questa immagine e come definirebbe la sua poetica?
Anche se in genere non mi piacciono i cliché, preferisco di gran lunga essere chiamato il “poeta della tastiera” che non il “virtuoso della tastiera”. È un peccato che al giorno d’oggi la parola “virtuoso” venga associata a colui che stupisce per i suoi effetti pirotecnici. Mentre il vero virtuosismo è la padronanza dello strumento che permette di nascondere l’abilità tecnica con la varietà e la bellezza dei colori e delle sfumature. La musica è poesia. Quello che cerco di trasmettere come interprete attraverso la ricerca delle sfumature di colore che può dare il pianoforte è l’essenza spirituale e poetica del lavoro musicale. L’immaterialità del suono va oltre le parole… e la poesia è l’arte più vicina alla musica.
Foto © Marco Borggreve/Sony Classical