Intervista a Beatrice Rana

Il prossimo 10 dicembre eseguirà, assieme al Quatuor Modigliani, il Quintetto di Brahms in fa minore op. 67. Com’è nata la collaborazione con il Quatuor? Cosa la affascina del modo di suonare dei musicisti del Modigliani?

Abbiamo suonato molte volte insieme, siamo già stati in tournée con il Quartetto e Quintetto di Schumann perché faceva parte di un’integrale di musica da camera schumanniana. La nostra collaborazione è iniziata tre anni fa, abbiamo suonato per la prima volta in Francia e si è subito creata una sintonia veramente molto particolare. Suonare musica da camera è sempre un grande privilegio e poterlo fare con persone con le quali ci si trova così bene e così a proprio agio, musicalmente e umanamente parlando, è molto raro. Probabilmente la cosa che mi affascina di più del Quartetto Modigliani è questa enorme forza musicale e narrativa che traspare dalle loro interpretazioni, che poi è anche un po’ la cifra per la quale ci siamo trovati così bene sin dall’inizio. Condividiamo un modo di guardare la musica molto simile. Sono anche molto contenta di suonare il Quintetto di Brahms che, rispetto a Schumann, è completamente un’altra storia

A soli venticinque anni, vanta una brillante e solida carriera internazionale. Potrebbe raccontarci quali sono state le esperienze musicali che l’hanno segnata maggiormente fino a oggi?

Credo che in questi miei venticinque anni di vita e ventidue anni di vita musicale ci siano state molte esperienze che mi hanno segnata e che mi aiutano a continuare il cammino di musicista. Più che le esperienze, però, credo che le cose che mi hanno veramente segnata siano le persone che ho incontrato sulla mia strada. Prima di tutti il mio insegnante Benedetto Lupo con il quale ho iniziato a studiare a dieci anni, quindi veramente molto presto. Dopo, i concorsi con i quali sono riuscita ad affacciarmi sulla realtà concertistica, non solo pianistica. E poi gli incontri con i grandi direttori d’orchestra. Sono così fortunata da avere lavorato con grandi direttori: alcuni di quelli che mi hanno segnato di più sono il maestro Pappano, con il quale ho inciso il mio primo disco con orchestra, un uomo di una generosità umana e musicale senza pari. Poi il maestro Fabio Luisi, molto diverso dal maestro Pappano ma con una stilistica e una raffinatezza musicale anche esse molto rare. Un’altra persona che mi ha veramente illuminato sul modo di vedere la musica è il maestro Yuri Temirkanov, che è un “tornado” musicale.

Solitamente suona da solista, in formazioni cameristiche o con le orchestre più importanti: qual è la situazione concertistica che preferisce?

È impossibile scegliere cosa preferisco tra solismo, camerismo oppure con orchestra perché sono tre espressioni diverse ma complementari del fare musica. La formazione di pianista è molto orientata al solismo o comunque al solismo con orchestra, quindi non nascondo che sono molto più frequenti le occasioni che ho per suonare in pubblico. Le amo moltissimo perché il recital permette una libertà e un’indipendenza sul palcoscenico assolutamente uniche, dalle quali, ovviamente, deriva anche una grande responsabilità. Nel caso del concerto con orchestra c’è una grande gioia nel condividere una grande opera con tanti musicisti sul palcoscenico e con il direttore d’orchestra. C’è una enorme energia che fluisce. Nel caso della musica da camera, invece, si tratta per me di un discorso più ristretto perché ne suono meno rispetto al resto. Tuttavia, è un tipo di musica che amo tantissimo e che mette in luce probabilmente l’aspetto più intimo e poetico dell’essere musicista: la capacità di essere con poche altre persone e di creare qualcosa di assolutamente inedito con la prospettiva di tutti quanti. È un lavoro veramente delicato che richiede molta sensibilità, però allo stesso tempo coinvolge totalmente e lo affronto con grande slancio.

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