Intervista a Marina Margheri e Matteo Bogazzi

Qual è il primo ricordo della tua vita legato alla musica che ti viene in mente?

Marina Margheri. Mi ricordo le tante lezioni di mia mamma che sentivo da piccola, era divertentissimo conoscere i suoi allievi e vederli suonare.

Matteo Bogazzi. Una batteria giocattolo. L’antipatia per il primissimo insegnante di musica che ho conosciuto, alla materna. Cantare in famiglia. La chitarra di mio padre.

Cosa ti ha spinto a iniziare a suonare uno strumento musicale?

Marina. Vedere i miei genitori sempre con gli strumenti in mano, specialmente mia mamma con il violoncello. Era un gioco per me, in mezzo alle sue lezioni o durante le pause dei suoi concerti, provare a tirare fuori qualche suono da quello strumento che all’epoca era così grande che non potevo neanche tenerlo da sola. Ho iniziato a suonare in maniera completamente inconsapevole, quindi, non è stata una scelta, ma pura curiosità verso quello che sembrava essere un gioco imparagonabile a qualsiasi altro.

Matteo. Senz’altro l’incontro con un maestro, oltre al bisogno di cercare una via di comunicazione con il mondo.

Quando hai capito che eri brav* in quello che stavi facendo e che questa attività avrebbe occupato una parte importante della tua vita?

Marina. Ho capito fin da piccola che il violoncello sarebbe stato una delle parti più importanti della mia vita, inconsapevole però di cosa volesse dire lavorare e vivere di musica. Da piccola mi veniva detto molto spesso che ero brava, ma ho imparato presto a capire quanto il concetto di bravura variasse tantissimo in base a chi lo esprimeva e al contesto a cui veniva paragonato. Ho scelto con gli anni di continuare a coltivare questa passione, nonostante i numerosi sacrifici che questo comporta, perché sono grata per tutto quello che la musica mi ha dato, e come diceva Piero Farulli: “La musica è un dono da restituire”.

Matteo. La passione per quello che faccio ha subìto una forte accelerazione nel momento in cui ho scoperto la gioia di fare musica insieme ad altre persone – ma penso di essere stato da sempre convinto del fatto che essa non mi avrebbe mai abbandonato. Al tempo stesso sono convinto del fatto che di diventare non si finisca mai.

Ci sono stati dei momenti in cui avresti voluto mollare tutto e cambiare direzione?

Marina. Sì, lo studio del violoncello non è sempre stato facile per me, e spesso ho pensato di lasciarlo, magari per dedicarmi ad altri campi musicali. Mi sono resa conto però, ogni volta che credevo che la pratica dello strumento potesse portarmi talvolta a pensieri ed eventi non sempre positivi, che in realtà erano maggiori le volte in cui dalla musica avevo tratto soddisfazione, e che valeva la pena continuare nonostante i momenti di difficoltà (che in realtà sono molto più comuni di quello che si crede), perché la gratitudine che provo verso la musica è indescrivibile.

Matteo. Non ho mai avuto momenti di vera e propria crisi, ma penso che alcuni momenti di passaggio, con le incertezze che comportano, siano essenziali all’interno di un cammino artistico e vadano gustati e attraversati senza paura.

Qual è il momento più emozionante che ricordi della tua carriera musicale?

Marina. Impossibile sceglierne uno soltanto, i momenti che ricordo con più gioia sono quelli dopo i concerti importanti (tra gli ultimi quello in cui ho eseguito il Quintetto di Brahms con Rizzi, Rossi e Deljavan) e quelli in cui sono venuta a conoscenza di alcune vittorie che mi hanno saputa ripagare dei tanti sacrifici fatti, che fossero audizioni o concorsi. In tutto ciò, se proprio dovessi scegliere un momento, non mi scorderò mai l’ultimo concerto con il mio amato quartetto, a cui ho dedicato tutto il mio impegno e il mio affetto per anni.

Matteo. Continuo ad emozionarmi sempre come la prima volta nei momenti in cui riesco veramente a toccare emotivamente un altro.

Ci raccontate come vi siete conosciuti? Cosa vi piace del suo modo di suonare dell’altro e come mai avete deciso di suonare insieme?

Marina. Ci siamo incontrati al Liceo Dante, io da studentessa e lui da professore, ma il conoscersi veramente è arrivato quando ci siamo trovati a vivere insieme da coinquilini, un po’ per caso. Di come suona Matteo apprezzo tutto, pianisti di qualità e soprattutto sensibilità paragonabili alla sua ce ne sono pochissimi. Sono stata io a chiedergli inizialmente di accompagnarmi in alcune occasioni, e mi sono resa conto che la sua capacità cameristica, la sua cultura e la sua umiltà sono qualità talmente tanto rare che non potevo farmele scappare. Dopo qualche concerto insieme ci siamo resi conto, anche a seguito di riscontri molto positivi da parte del mio Maestro, che quello che avevamo insieme era un qualcosa di prezioso, e che andava preservato.

Matteo. Io e Marina ci siamo trovati quasi per caso a condividere lo stesso tetto. Di lei come musicista ammiro la viva curiosità verso tutto ciò che è musica, che è un territorio ben più vasto di quanto si trova sulla carta, e la grande dedizione alla ricerca, che la porta a lavorare molto, come volesse imparare a suonare meglio ogni minuto che passa, anche quando non ha il suo strumento tra le mani, vivendo.

C’è un brano musicale a cui sei particolarmente legat*? Vuoi dirci qual è e come mai?

Marina. Sceglierne uno solo sarebbe un crimine, nel mio cuore ci sono moltissimi brani che mi legano a tante persone e situazioni diverse. Per quanto mi riguarda sicuramente il Concerto per violoncello e orchestra di Elgar è un brano che apprezzo molto e che mi ha sempre portato fortuna, ma non posso non nominare almeno il Quartetto d’archi op. 41 n. 3 di Schumann e Nimrod, dalle Variazioni Enigma per orchestra, sempre di Elgar.

Matteo. Uno su mille, perché sarebbero molti: il secondo movimento, Andante sostenuto, dell’ultima Sonata di Schubert. Fu come scoprire, per me, l’altra metà della luna.

Hai altre passioni oltre a suonare il tuo strumento (sport/lettura/viaggi/hobby vari/ecc.)?

Marina. Mi piacciono moltissimo gli sport in generale, ma sicuramente la mia seconda passione per eccellenza è tutto ciò che riguarda il canto, la scrittura e il cantautorato.

Matteo. Mi appassionano tutte le arti (in particolare la poesia – letta e “praticata” – le arti visive e il cinema). Mi piace molto camminare, specialmente in campagna o in montagna.

Ascolti altri tipi di musica oltre a quella che suoni? Se sì, quali?

Marina. Moltissimi altri, dalla musica italiana degli anni ’60-’70-’80 al jazz di Etta James, Ella Fitzgerald e Aretha Franklin.

Matteo. Ci sono alcune cose che capisco e frequento meno, ma in generale ad interessarmi è tutto ciò che musicalmente dà corpo ad un’idea, al di là dei generi, che sia eseguito o improvvisato.

C’è un disco – di qualsiasi genere – che consiglieresti a tutti di ascoltare?

Marina. Dalla (1980), perché sa arrivare a tutti.

Matteo. Me ne permetto due: Pere Ubu, The modern dance (Geffen Records, 1978) e Franz Schubert, Winterreise, nell’interpretazione di Dietrich Fischer-Dieskau e Alfred Brendel (Philips, 1986)

Qual è il libro che leggerai quest’estate?

Marina. Tre ciotole di Michela Murgia.

Matteo. Guerra e pace di Lev Tolstoj (libri III e IV), Camere separate di Pier Vittorio Tondelli e Perturbamento di Thomas Bernhard.