Il programma che eseguirà a Firenze il 24 marzo 2018 include lavori per pianoforte di Schumann (Arabesque op. 18 e Humoreske op. 20), Debussy (Suite Bergamasque) e Schubert (Sonata D 958). Come ha concepito questo programma?
Questo programma contiene due generi diversi: la prima parte è come una suite, che si affianca alla seconda, dove la forma sonata è protagonista. Infatti, nella seconda parte eseguirò una delle più importanti Sonate di Schubert. Per quanto riguarda Debussy, la mia intenzione era quella di suonare un suo lavoro in occasione del centenario della sua scomparsa.
Nato in Russia, si è trasferito nel 1973 in Israele all’età di 15 anni e poi negli Stati Uniti, diventando cittadino americano nel 1989. Tutti questi paesi hanno una forte tradizione e musicale: ha trovato delle differenze fra loro?
È difficile trovare differenze in una società globalizzata come quella in cui viviamo. Nel campo del sapere difficilmente si trovano confini. Quello che prima era molto distante ora ci sembra vicino, vista l’era in cui viviamo. Le differenze non esistono ma spetta al musicista scegliere una strada e individuare ciò che meglio si adatta ai suoi gusti ed esigenze: il suono e lo stile che vuole avere per suonare la musica; le informazioni, altrimenti, sono uguali dappertutto.
Ha progetti futuri di cui vorrebbe raccontarci?
Sì, non vedo l’ora di suonare al prossima stagione con l’Orchestra di Santa Cecilia e di tenere diversi recital in molte altre città italiane.
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