Il concerto in streaming di sabato 13 marzo 2021 vede fra i protagonisti Alessandro Carbonare. Per l’occasione, ripubblichiamo un estratto dall’intervista esclusiva che avevamo fatto al grande clarinettista nel gennaio 2018.
M° Carbonare, lei ha collaborato con Claudio Abbado per quanto riguarda i progetti di diffusione dell’educazione musicale in Sud America, come il progetto della Orquesta Sinfónica Simón Bolívar e altre orchestre infantili. Cosa le ha trasmesso questa esperienza?
Si tratta di un progetto che esiste da più di quarant’anni e che ha salvato la vita a tantissimi ragazzi che altrimenti sarebbero finiti sulla strada. Un progetto di un’importanza incredibile perché dimostra non solo che la musica è bella, diverte, rilassa e fa calmare le onde cerebrali, ma può anche salvare la vita. E non è poco. Entrare in contatto con questi ragazzi che fanno musica non solo per divertimento, ma anche perché potrebbe essere davvero la loro salvezza, è diverso da insegnare ai ragazzi delle nostre parti che problemi di salvarsi la vita non ne hanno. È proprio un’esperienza molto forte, molto profonda, che mi ha segnato per sempre e che non vedo l’ora di rifare. Sono parecchi anni che non torno in Venezuela e sinceramente mi piacerebbe ritornarci.
Alla carriera concertistica affianca un’intensa attività didattica: incontrando molti giovani, qual è il consiglio che si sente di dare ai musicisti che stanno iniziando una carriera professionale?
Quello di studiare tantissimo. Lo so, sembra un consiglio scontato, ma non lo è. Oggi i ragazzi sono abituati ad avere tutto in fretta, a parlare con gente che sta dall’altra parte del mondo, a connettersi velocemente, a fare tutto con una velocità incredibile. Devono capire che nella musica nulla si ottiene velocemente. È qualche cosa che richiede una grandissima pazienza, tanto lavoro e tante ore di studio. Quindi non sono i gigabyte di velocità che contano nella musica classica ma la quantità di ore passate a rifare magari cento volte lo stesso passaggio. Questo faccio molta fatica a farlo capire ai ragazzi che studiano con me perché sono abituati in altro modo. Per dirne una, quando studiano hanno sempre il cellulare acceso e ogni dieci secondi rispondono a un whatsapp o a un sms. Non riescono a stare concentrati su quello che fanno. Noi, che non avevamo whatsapp, per lo meno, quando si studiava, si studiava davvero con la testa lì. Adesso vedo che non è più così, la testa sta in cento posti diversi. Quindi non c’è la stessa concentrazione che c’era ai nostri bei vecchi tempi. Parlo come un vecchiaccio, ma è così.