§ Dietro le quinte | Claudio Bussotti

Inauguriamo la nuova rubrica Dietro le quinte con alcuni racconti dell’accordatore Claudio Bussotti, collaboratore storico e preziosissimo degli Amici della Musica di Firenze, su alcuni dei più grandi artisti incontrati nel corso della sua carriera.

Arturo Benedetti Michelangeli #7
Una volta eravamo con Benedetti Michelangeli negli studi di registrazione della Deutsche Grammophon. Finito di registrare, arrivò nella stanza uno dei tecnici del suono che disse: «Maestro, vuole venire a sentire l’audio e dirci se è soddisfatto?». E Benedetti Michelangeli: «Sentire? Io ho suonato bene, se c’è qualcosa di sbagliato la colpa è vostra!». Disse così e se ne andò.
Insomma, aveva un carattere davvero terribile! Un’altra volta eravamo a Parigi, Benedetti Michelangeli aveva appena finito di fare un concerto alla Salle Pleyel. Mentre si stava avviando verso i camerini, una signora spuntò fuori dal nulla e lo riconcorse, gli afferrò le mani e si mise a baciargliele: «Les mains de Dieu! Les mains de Dieu! (“Le mani di Dio! Le mani di Dio!”)». Allora Benedetti Michelangeli si liberò con uno scossone e sbottò: «Macché mani di Dio! Io mi faccio un mazzo così tutti i giorni a studiare!».

Arturo Benedetti Michelangeli #6
Arturo Benedetti Michelangeli era molto amico della contessa Pontello, di Firenze, che possedeva un castello a Camaldoli. Un giorno la contessa mi disse: «Bussotti, il Maestro Michelangeli sarà mio ospite a Camaldoli, verrà un po’ di giorni per riposarsi e visitare i monasteri. Per sicurezza, mi mandi un pianoforte – anche una mezza coda Yamaha – così, se ha voglia, studia».
Benedetti Michelangeli andò, quindi, a Camaldoli e si fermò lì per una decina di giorni. Per tutto il tempo aveva l’autista della contessa Pontello a disposizione per farsi portare a vedere i monasteri.
Alla fine del suo soggiorno, il pianoforte tornò nel mio studio: aveva una tastiera sudicia, nera! A quel punto mi venne il dubbio di avergliela mandata così, ero preoccupatissimo! Allora andai dall’autista della contessa, che aveva accompagnato lo strumento, e gli domandai com’era stato il soggiorno del Maestro, se per caso si era lamentato del pianoforte. E lui mi rispose: «Guardi, Bussotti, da non crederci: il Maestro, appena arrivato, si è chiuso in camera e non è più uscito. Non ha fatto altro che suonare, dalla mattina alla sera, per dieci giorni. Mai uscito! Gli portavamo da mangiare, apriva la porta e rientrava subito in camera!».
Rimasi di stucco, pensai che avere a che fare con un personaggio del genere non era sicuramente semplice, ma ti portava a vivere delle situazioni uniche e straordinarie, decisamente fuori dal comune!

Arturo Benedetti Michelangeli #5
Un’altra volta mi trovai con Arturo Benedetti Michelangeli in uno studio televisivo. Lui stava provando due pianoforti, uno più vecchio, uno meno, e doveva sceglierne uno per una registrazione. Lui suonava, suonava. A un certo punto si fermò e mi chiese: «Bussotti, quale preferisce dei due?». Io avevo talmente tanta soggezione di lui che non sapevo cosa rispondergli, per me andava bene qualunque cosa! Allora gli dissi: «Mah, Maestro… forse quello nuovo è meglio!». E lui: «Non lo so, non mi convince nessuno dei due».
A quel punto, visto che lo studio era pieno di microfoni collegati con la cabina di regia, venne giù uno dei responsabili della televisione, che probabilmente aveva sentito i nostri discorsi, e ci disse: «Guardate, nello studio B abbiamo un altro pianoforte, nuovo». E Benedetti Michelangeli: «Bene. Bussotti, andiamo a sentirlo». Entrammo nello studio B e il Maestro si mise a suonare. Si fermò subito esclamando: «Ma questo è terribile! È uno schifo!». A quel punto il responsabile della televisione disse: «Ma come, Maestro! Questo è il pianoforte che Horowitz ha scelto per fare le sue registrazioni qui!». E Benedetti Michelangeli: «Ma chi, Horowitz? Quello non capisce nulla, è un gran pasticcione!».

Arturo Benedetti Michelangeli #4
Con Benedetti Michelangeli era semplice lavorare. Ti diceva tutto lui: «Rafforzi questo armonico qui, questo suono me lo faccia così…». Se eseguivi bene le sue richieste, lui era molto contento, altrimenti ti mandava a casa!
Quando doveva fare un concerto, arrivava in città cinque-sei giorni prima per avere tutto il tempo di studiare e lavorare sullo strumento. Non gli piaceva sentire accordare il pianoforte, quindi mi diceva: «Domattina alle 9 vengo in studio». Allora io mi svegliavo prestissimo, andavo allo studio, mi mettevo ad accordare… e magari lui arrivava alle 11! Però, quando poi si metteva a suonare.

Mi ricorderò sempre un concerto alla Salle Pleyel, a Parigi. Duemila posti, una sala enorme. Benedetti Michelangeli entrò sul palcoscenico e in sala calò un silenzio di tomba, impressionante. Duemila persone in silenzio assoluto. E lui avanzava verso il pianoforte con il suo fisico statuario… sembrava Dracula! Alto, pallido… Si mise a suonare. Durante il concerto, nessuno fiatava, non ci fu nemmeno un colpo di tosse. Finito il concerto, il pubblico rimase in silenzio per altri interminabili secondi. Poi, prima un colpo di mani da un lato, poi da un altro, e alla fine uno scroscio di applausi assordante. Vedere una tale reazione del pubblico durante il concerto di quel gigante è stata un’esperienza davvero memorabile.

Arturo Benedetti Michelangeli #3
Mentre eravamo a Parigi a registrare il Concerto in sol di Ravel per Antenne 2, notavo che Benedetti Michelangeli durante le prove dava spesso consigli ad Alain Lombard, il direttore d’orchestra, che era molto più giovane di lui. Ricordo che, dopo qualche registrazione, i vari rappresentanti della rete andarono dal pianista e dal direttore. A quel punto, Benedetti Michelangeli si rivolse a tutti e disse: «Io non ho capito nulla di com’è andata a livello di registrazione e riprese varie. In ogni caso, io non lo rifaccio: ho suonato bene!».

Wilhelm Kempff
Kempff arrivò al Teatro della Pergola per fare il suo concerto in stagione agli Amici della Musica. Appena salì sul palco, gli domandai: «Maestro, le va bene il pianoforte messo in questa posizione?». È una domanda che faccio sempre ai pianisti appena arrivano a provare lo strumento. Allora lui mi rispose: «Senta, Bussotti: io sono quasi cieco. Dove lo mette a me va bene!».

Arturo Benedetti Michelangeli #2
Mi ritrovai un’altra volta con Arturo Benedetti Michelangeli negli studi di Antenne 2, a Parigi. Nel suo staff, che era formato da tre o quattro persone, c’era una signora molto anziana.
Entrammo tutti dentro lo studio dove il Maestro doveva registrare. Ai lati della sala di registrazione c’erano dei pannelli che arrivavano quasi fino a terra, ma lasciavano uno spazio scoperto. La signora anziana, una volta entrata, prese una sedia e si mise dietro uno dei pannelli a leggere un libro. Dalla sala, quindi, si vedevano solo i suoi piedi.
Benedetti Michelangeli si mise a provare ma, a un certo punto, notò i piedi della signora. Ricordo che, come una furia, si diresse verso di lei e le urlò: «Cosa sta facendo lì? Se ne vada! Vada via!».
A quel punto la signora, con la massima indifferenza, prese la sua seggiolina e uscì dalla sala.
Più tardi, durante la pausa, Benedetti Michelangeli andò nel suo camerino e io uscii dallo studio. Trovai la signora seduta nel corridoio, che leggeva. Andai da lei e la abbracciai cercando di consolarla dopo la scenata del pianista. A quel punto lei mi disse: «Non si preoccupi… Sa, ci sono abituata». «Come, signora, in che senso?», le chiesi. Mi rispose: «Ha presente la catenina che il Maestro ha sempre al collo?». In effetti, avevo notato che quando con Benedetti Michelangeli stavamo vicini a lavorare sul pianoforte, ogni tanto gli usciva dalla camicia una collana con la foto di un uomo. Lo dissi alla signora. «Sa, Bussotti – mi spiegò – quell’uomo era mio marito. Per molti anni è stato il medico del Maestro. Lui gli voleva molto bene e lo seguiva sempre, soprattutto per curarlo quando aveva problemi alle mani. Ora che è mancato, il Maestro non vuole che io resti sola e mi porta sempre con sé in giro. Fosse per me, starei anche a casa, vista la mia età. Ma con lui non si può discutere».
Dopo un po’ arrivò Benedetti Michelangeli. Quando la vide, con un sorriso raggiante la abbracciò e le chiese come stava, se si stava annoiando e se voleva andare in albergo a riposare. Poi rientrò nello studio.
Vedendo la mia faccia sbigottita, la signora mi disse: «Vede, Bussotti, quando lui suona è un’altra persona. È così concentrato che non mi riconosce mai».
Rimasi così colpito da questo aspetto del carattere di Benedetti Michelangeli e dall’affetto che provava per il suo medico che ancora oggi, se ci penso, mi commuovo.

Aldo Ciccolini
Aldo Ciccolini, quando aveva concerti a Firenze, veniva sempre a suonare nel mio negozio. Mentre erano ancora in carriera pianisti come Richter o Rubinstein, lui rimaneva un po’ nell’ombra: il suo successo arrivò in età matura. Suonava in modo meraviglioso. Negli ultimi anni era sempre invitato nelle stagioni degli Amici della Musica di Firenze. Prima dei concerti, arrivava in negozio per studiare e spesso mi diceva: «Bussotti, se io smetto di suonare muoio».
Un giorno al Teatro della Pergola suonò splendidamente ma camminava male, usava il bastone per muoversi e veniva sempre accompagnato da qualcuno al pianoforte. Dopo il concerto, mi disse che avrebbe voluto suonare lo stesso strumento anche a Lucca, dove aveva un recital qualche giorno dopo (mi sembra di ricordare che ci fossero tre giornate di concerti dedicati a Puccini). Ci ritrovammo dunque a Lucca. Subito dopo il suo concerto, andai a salutarlo nel camerino. «Maestro, ci rivediamo presto, allora, mi ha già firmato il contratto per il prossimo anno!», gli dissi. «Caro Bussotti», mi rispose, «dipende da lui». E con l’indice indicò verso l’alto.
Dopo due mesi, morì. Mi dispiacque moltissimo, era un musicista e un uomo veramente unico.

Arturo Benedetti Michelangeli
Con Arturo Benedetti Michelangeli ci trovavamo a Parigi. Lui stava provando un pianoforte che gli avevo accordato e suonava, suonava, non si fermava mai. Io non capivo se fosse soddisfatto o meno. Allora andai dalla sua segretaria, Maria José, e le chiesi: «Il Maestro suona, ma non mi dice se lo strumento va bene o se va male». E lei: «Cosa sta facendo il Maestro in questo momento?». Risposi: «Suona!». «Allora non c’è da preoccuparsi», mi replicò.
Un’altra volta eravamo ad Antenne 2, sempre a Parigi, dove Benedetti Michelangeli stava registrando il Concerto in sol di Ravel. Mentre suonava nella sala, da solo, prima che arrivasse l’orchestra, entrò un signore che si mise a spazzare. Intanto Benedetti Michelangeli studiava, studiava. A un certo punto, il signore mise la scopa da parte e si appoggiò al pianoforte per ascoltare il Maestro. Io, che ero lì in sala, pensai che sarebbe successo il finimondo. Ma Benedetti Michelangeli continuava a suonare, indifferente. A un certo punto l’inserviente, in francese, gli disse: «Lo sa, Maestro, io e lei ci assomigliamo». Benedetti Michelangeli lo guardò e fece un cenno con la testa come per dirgli “Sì, va bene, ho capito”. Dopo un po’, il signore se ne andò. A quel punto il Maestro si girò verso di me e disse: «Bussotti, io vorrei proprio sapere dove ci assomigliamo. Anzi, l’ho capito: anche lui ha i baffi».

Sviatoslav Richter
Un aneddoto molto simpatico che mi fa piacere raccontare riguarda Sviatoslav Richter. A Richter piaceva molto soggiornare in Liguria e a Genova conosceva bene la famiglia Arcuri. La signora Arcuri era un’insegnante del Conservatorio di Genova, mentre il marito, avvocato Arcuri, era presidente dello stesso Conservatorio. Richter fu invitato dalla signora Arcuri a fare un concerto al Conservatorio di Genova: lui non amava molto fare concerti con un pubblico numeroso, in grandi sale, e questi inviti li accettava volentieri.
A quel tempo, da giovane, servivo la signora Arcuri e andavo spesso a Genova per lavoro. La signora mi telefonò e mi chiese di andare a Genova ad accordare il gran coda del Conservatorio, perché sarebbe venuto Richter a suonare. Arrivai a Genova e vidi quel gran coda: era uno strumento in condizioni pietose, allora cercai di sistemarlo per quanto possibile. Arrivò Richter nella sala del concerto e il direttore del Conservatorio, che all’epoca era Acocella, gli disse: «Maestro, è questo il pianoforte che suonerà, purtroppo non abbiamo niente di meglio». Allora Richter si mise a suonarlo e dopo poco disse: «Non esiste un pianoforte brutto». A quel punto furono tutti molto sollevati e Richter fece il suo concerto, che fu un grande successo.
La sera andammo tutti a mangiare dalla signora Arcuri. Richter soggiornava in una villetta che si trovava appena fuori Genova, a Nervi. Dopo cena, la signora Arcuri mi disse: «Bussotti, io ho il fuoco di Sant’Antonio, non posso guidare. Mio marito è molto anziano… Non è che potrebbe riaccompagnare lei il Maestro a Nervi?». E così feci questo viaggio da Genova a Nervi in macchina, da solo con Richter, in un silenzio di tomba! Appena partiti lui si era messo a dormire e io non sapevo cosa fare, come far partire la conversazione… Insomma, fu un viaggio che durò un’eternità! Comunque, andò tutto bene: una volta a Nervi lo svegliai e gli dissi che eravamo arrivati.
In seguito, lo incontrai altre volte, ai concerti degli Amici della Musica, quando si facevano a Figline Valdarno. Richter è sempre stato molto gentile e alla mano con me, conservo bellissimi ricordi su di lui.