Teatri 35: il corpo come strumento

Il Genio e il Divino è il titolo della performance che presenterete nella nostra stagione. Com’è nato questo progetto?

Il progetto nasce da un più generale studio sulla tecnica del tableau vivant, che noi stiamo facendo da più di 15 anni e che ci ha condotto alla creazione di una nostra particolare poetica.
L’espressione tableau vivant deriva dal francese e significa letteralmente “quadro vivente”. Sta a indicare una pratica di intrattenimento per la quale un gruppo di attori ricrea una scena rappresentata in un dipinto, che può essere a soggetto storico, mitologico o allegorico, indossando abiti e assumendo posizioni che richiamino il più possibile l’abbigliamento e le pose dei personaggi della fonte di riferimento, cercando di ricreare le stesse ambientazioni e la medesima atmosfera.
Il termine tableau vivant è formato da due parole: tableau, che in francese significa “quadro”, e vivant, che invece vuol dire “vivente”[1].
Il concetto cardine con il quale ha a che fare questa particolare pratica è sicuramente quello della mimesi, termine con il quale ci si riferisce tradizionalmente all’imitazione, da parte dell’arte, della realtà[2]. Le arti mimetiche più conosciute sono sicuramente la pittura e la fotografia, che spesso si prefiggono di realizzare una copia di un frammento del nostro mondo. Questo concetto con gli anni ha acquistato un’accezione differente, in quanto al giorno d’oggi non ci si riferisce alla mimesi come ad una pratica volta a creare una copia esatta della realtà, ma come una ricerca di una raffigurazione e una rappresentazione della stessa. In questo senso il concetto comprende anche altri linguaggi, come per esempio la letteratura, il cinema e la realtà virtuale.
Il tableau vivant non è una pratica che tende alla copia e all’imitazione dell’originale, è una rappresentazione. Non si ispira alla realtà, si ispira ad una fonte iconografica per riproporla e darle vita.
Il tableau vivant affonda le proprie radici nelle rappresentazioni liturgiche medievali, nelle costruzioni sceniche del Rinascimento e negli apparati effimeri tanto centrali dell’economia delle feste barocche.
Il primo esempio di rappresentazione teatrale di brevi scene, con vere e proprie scenografie e la partecipazione di figuranti in costume, che può essere ricondotto alle origini del tableau vivant è il presepe vivente. Fu San Francesco ad allestire, nel 1223, il primo presepe vivente a Greccio, nelle vicinanze di Rieti. San Francesco individuò la grotta adatta alla rappresentazione. Fece collocare una mangiatoia con del fieno e vi fece portare un bue e un asinello. Ma non si fermò qui: grazie anche all’aiuto di alcuni figuranti in carne e ossa, mise in pieni una scenografia accuratamente allestita. Secondo la leggenda, durante la rappresentazione apparve all’interno della mangiatoia un bambino vero che San Francesco prese in braccio. La storia è raccontata in dettaglio da San Bonaventura da Bagnoregio nella sua Legenda Maior. Il primo presepe vivente di Greccio, anche grazie all’apparizione miracolosa del bambino, ebbe una vasta eco, tanto da dare vita alla tradizione dell’annuale presepe vivente in tutta Italia e non solo.
Fu proprio in quelle prime rappresentazioni che si trova l’origine del tableau vivant. La pratica di realizzare performance teatrali che rappresentano delle scene o delle opere d’arte.
Con il presepe di Greccio la rappresentazione sacra si fa immedesimazione fisica, esattamente come accade con i tableaux vivants, che trasformano le immagini in un atto performativo tramite la presenza fisica degli attori e la loro gestualità nello spazio.


Il tableau vivant ha una natura ibrida ed eterogenea che combina elementi del teatro, della pittura e della scultura. Importante anche l’aspetto di dualismo intrinseco nel termine, che include in esso sia il movimento che l’immobilità, sia il corpo umano vivente sia quello dipinto o scolpito.
Questi temi sono riscontrabili in molte espressioni culturali del XVIII secolo. Per esempio, a Napoli la futura Signora Hamilton, Emma Hart, divenne famosa grazie alle sue riproduzioni “congelate” di immagini che ritrovava dipinte su vasi greci o che rimandavano a statue classiche.
In un passaggio datato 16 marzo 1787 nella sua opera Viaggio in Italia, Goethe, riferendosi al tempo trascorso tra Napoli e Caserta, scrive:
 “Sir William Hamilton, che ancora risiede qui come ambasciatore inglese, grazie al suo profondo amore per l’arte e ai suoi prolungati studi, ha approfonditamente scoperto il più perfetto esempio della natura e dell’arte in una bellissima e giovane donna. Lei vive con lui – una donna inglese sui vent’anni. È davvero molto affascinante e di una figura molto bella. Il vecchio cavaliere ha fatto realizzare per lei un costume greco che le sta divinamente.
Vestita in quel modo e con i capelli che le cadono sulle spalle, indossando un paio di scialli, si esibisce in ogni possibile variante di posa, espressione e sguardo, così che lo spettatore immagina di essere in un sogno. E la si guarda nella sua perfezione, nel suo movimento, nelle sue affascinanti varianti, tutto ciò che i grandi artisti sono felici di essere in grado di rappresentare. In piedi, in ginocchio, seduta, sdraiata, seria o triste, scherzosa, esultante, pentita, lasciva, minacciosa, ansiosa – una serie di stati mentali che si susseguono uno dopo l’altro. Con un grandissimo gusto riesce ad abbinare ogni piega del suo velo ad ogni espressione, e con lo stesso fazzoletto riesce a creare ogni tipo di copricapo. Il vecchio cavaliere regge una luce e si inserisce nella rappresentazione con la sua anima. Pensa di poter scorgere in lei la somiglianza a tutte le antichità più famose, a tutti i bellissimi profili sulle monete siciliane – persino l’Apollo del Belvedere. Perciò molto di ciò che viene detto è vero – l’intrattenimento è unico. Abbiamo passato due pomeriggi a guardarla con estremo appagamento. Oggi Tischbein è impegnato a dipingerla”.


Nella famosa descrizione è già presente la doppia struttura del tableau vivant che lo rese così attrattivo nei confronti dei registi.
Goethe ha contribuito notevolmente, grazie soprattutto alla sua quarta opera, Le affinità elettive, allo sviluppo della moda del tableau vivant. Sarà la stessa Ottilia a prendere parte ad un tableau vivant durante la notte di Natale, raffigurando la Vergine con un atteggiamento timido e introverso. La rappresentazione non è solo estetica, l’identificazione del personaggio è profondamente psicologica ed è utile soprattutto ai fini della narrazione.
La pratica dei tableaux vivants ha avuto una grande eco soprattutto per pratiche teatrali vittoriane chiamate pose plastique per le quali i performer erano chiamati ad assumere le sembianze di statue classiche, dell’antica Grecia o romane.
Il performer trova nello spazio della rappresentazione dei quadri viventi per manifestare la sua verità profonda, quella di una natura artistica che per il resto del tempo si scontra con gli ostacoli delle convenzioni sociali.
Dalla fine dell’Ottocento, il tableau vivant serviva chiaramente a un culto dell’apparenza attraverso il quale si svolgeva una performance, quella dell’identità in sintonia con i codici e le convenzioni sociali. Il tableau vivant è stato quindi utilizzato molto spesso per evidenziare l’identità come mascherata, una questione che troviamo esplorata oggi nelle opere contemporanee di Cindy Sherman, Yasumasa Morimura, Yinka Shonibare.
Nel tempo il tableau vivant diventa uno strumento per ricontestualizzare e citare il passato.
Come abbiamo detto, nasce nelle feste liturgiche, si sviluppa nelle corti rinascimentale, si apre alle feste nelle strade cittadine per poi stabilizzarsi sui palcoscenici vittoriani.
Ha subito un’evoluzione nel tempo, trasformandosi in una modalità che possa soddisfare vari scopi.
Il tableau ricopre la carica di un’estetica post-moderna. Come ogni pratica contemporanea, è ibrida. È stata ed è oggi in particolar modo utilizzata da molti linguaggi differenti: fotografia, performance, video e cinema. Ognuna di queste espressioni artistiche se ne serve per i più svariati fini, ma ciò che si nota soprattutto in questi ultimi anni è una tendenza dell’utilizzo del tableau vivant per dare un’anima all’arte, per darle vita.
Questo utilizzo lo rende particolarmente interessante da parte dello spettatore, perché si sente completamente immerso all’interno dell’opera.
Il nostro lavora nasce dal contemporaneo. Negli anni Sessanta del ‘900 è Pasolini a usare il tableau vivant nel mediometraggio La Ricotta, mettendo in scena le deposizioni di due manieristi: Pontormo e Rosso Fiorentino. Pasolini utilizza la tecnica dei tableaux vivants per creare nella drammaturgia quel distacco tra una sacralità iconografica e dogmatica (rappresentata appunto dalle due deposizioni) e una sacralità reale e popolare per lui distante dalla prima.
La nostra ricerca su questa tecnica parte da lì, da uno studio su Pier Paolo Pasolini, sulla sua Poetica, sulle sue Passioni, sulle sue Parole. Uno studio ispirato alla produzione artistica di Pasolini dei primi anni Sessanta che ha fortemente influenzato la nostra poetica e la nostra ricerca.
Partendo dal testo Poesia informa di rosa, opera manifesto di quel periodo il nostro interesse è andato verso l’idea mistica che Pasolini aveva del cinema, evidente nella sua produzione di quegli anni, una lingua scritta della realtà non evocativa ma ‘tautologica’.
La nostra ricerca si è concentrata sull’utilizzo che Pasolini fa di elementi della realtà, in cui i poveri sono veri poveri, così come i doppiatori non sono professionisti o la cinepresa è tenuta sulla spalla, in cui è la realtà stessa a fornire i materiali e l’intervento dell’artista.
Il linguaggio tautologico della realtà, la tradizione figurativa ed iconografica, le sacre rappresentazioni, la messa in scena popolare, lo studio sui simboli, la relazione tra fissità e movimento; è sulla mescolanza di questi elementi presenti nella poetica di Pasolini che si fonda la nostra ricerca.
Nel nostro lavoro gli attori riproducono un quadro utilizzando stoffe e oggetti, assumono la posa per un certo tempo, quanto necessario perché chi osserva possa riconoscerlo e goderne, poi smontano e con la stessa tecnica ne compongono un altro, poi un altro ancora.
Gli attori sono insieme protagonisti ed attrezzisti: montano, smontano e si fingono maddalene, cristi, santi e angeli, corpi che si prestano alla scena al pari di semplici stoffe. Per noi c’è tutto il teatro in questo fingere e fingersi.
Arrivare alla costruzione del quadro non è il fine; ciò che viene ricercata è una modalità di lavoro in cui il corpo è semplice strumento, in cui ogni gesto è in funzione di una meccanica, di un ingranaggio in cui ciò che viene eseguito è strettamente necessario.
Nulla è lasciato al caso così come nulla è superfluo. La dinamica della costruzione trova il suo equilibrio nella sospensione musicale di uno stop, nel fermo immagine di un’azione in divenire che costringe il corpo ad una tensione muscolare viva e pulsante.

I vostri tableaux vivants interagiranno con musiche di J.S. Bach eseguite da solisti dell’Orchestra Vittorio Calamani. Come sono state scelte queste composizioni e come si è svolta la collaborazione con i musicisti per la costruzione di questa performance?

Il progetto performativo è nato dalla collaborazione tra la compagnia Teatri 35, punta di eccellenza nella creazione di azioni teatrali di Tableaux Vivants (letteralmente quadri viventi), e l’Orchestra Filarmonica Vittorio Calamani.
Il lavoro è iniziato dallo studio degli artisti e delle opere, questo studio è andato in parallelo allo studio delle musiche, fino a arrivare alla selezione di opere e musiche utili per la messa in scena finale.
In questa nuova produzione si è scelto di indagare le opere di questi due grandi artisti dell’arte italiana mettendole in relazione con l’Offerta Musicale BWV 1079 di Johann Sebastian Bach, magistralmente eseguita dal vivo dall’Orchestra Filarmonica Vittorio Calamani con Massimo Mercelli, flauto per creare una spaccatura temporale che ne esaltasse la forza scenica e al contempo dessa alla musica una visione di immagini evocative e suggestive.
La partitura musicale ha costituito la drammaturgia della performance consentendo ad ogni attore in scena di eseguire azioni sonore, di compiere gesti in funzione di una meccanica, come in un ingranaggio, in cui ciò che viene eseguito è strettamente necessario. La dinamica della costruzione della performance trova il suo equilibrio nella sospensione musicale di uno stop, nel fermo immagine di un’azione in divenire che costringe il corpo ad una tensione muscolare viva e pulsante.

Le opere che rappresenterete sono di Michelangelo e Raffaello. Come mai avete scelto questi due artisti e quali sono state le sfide nel ricreare le loro opere?

Il lavoro nasce dallo studio di due grandi artisti del Rinascimento Italiano, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio, colti nel loro rapporto con la materia. Pittura e scultura si confrontano, dialogano attraverso la rappresentazione delle opere di questi due grandi maestri, in cui l’elemento naturale è reso attraverso un climax cromatico che consente di passare dal candore del marmo del David di Michelangelo Buonarroti ai colori pastello di Raffaello Sanzio. Il Genio della scultura di Michelangelo e il divino della pittura di Raffaello si misurano con i colori della terra e se nel primo la bellezza è armoniosa e dolente, e la materia sembra patire una sofferenza dall’interno, nel secondo è costante ricerca di equilibrio tra le parti, delle figure e dei colori.


[1] “Tableau vivant ⟨tabló vivã′⟩ locuz. m., fr. (propr. «quadro vivente»). – Tipo di rappresentazione in cui un gruppo di attori o ballerini si dispone sulla scena, rimanendo in silenzio, in modo da ricreare o evocare un quadro o un’immagine celebre, una scena religiosa e sim.” in Vocabolario Treccani.

[2] Dal greco (mimesis) che significa genericamente “imitazione” e “riproduzione”.