ALEXANDER LONQUICH, pianoforte
Solopiano
Turno A, B, Bpiù, P
STRAVINSKIJ: Circus Polka, per un giovane elefante
BEETHOVEN: Praeludium in fa minore
ADORNO: Adagietto: Hommage à Bizet
MILHAUD: Corcovado
ČAIKOVSKIJ: Valse à cinq temps op. 72 n. 16
STRAVINSKIJ: Etude op. 7 n. 4
JANÁČEK: Malostranský Palác
REGER: Humoresque op. 20 n. 5
SCHUMANN: Präludium
WOLPE: Tango
BRUCKNER: Erinnerung
GRIEG: Suono di campane
RACHMANINOV: Preludio op. 23 n. 7
SKRJABIN: Etude op. 42 n. 5
WOLPE: Stehende Musik
C.P.E. BACH: Abschied von meinem Silbermannischen Claviere in einem Rondo
SCHUMANN: Albumblatt
JANÁČEK: L’anello d’oro
BEETHOVEN: Variazioni in do maggiore su un valzer di Diabelli per pianoforte op. 120
Le seduzioni che ispirano oggi il potenziale fruitore ad accostarsi alla cosiddetta musica classica sono il risultato di un profondo cambiamento.
A partire dagli anni del dopoguerra, oltre la funzione quasi liturgica dell’evento concertistico, il disco è stato considerato un oggetto ambito, anche esso sacralizzato, da esibire come un feticcio. Prima la sazietà creata da un mercato incline al riproponimento continuo dello stesso repertorio, poi l’avvento dei social media hanno tolto un po’ di terra sotto i piedi all’ascoltatore affezionato al proprio cammino tracciato fino a qua, e hanno reso più arduo l’avvicinamento delle generazioni più recenti ai nostri linguaggi. Di tutti noi, con poche eccezioni, si è impossessata una modalità d’ascolto volatile, a spizzichi e bocconi. Tre minuti di un violinista da scoprire, segue l’incipit di un tempo di un quartetto di Schumann, poi in forma di trailer l’annuncio pubblicitario di un evento a venire, dopo ci focalizzeremo, magari prima sul pianoforte, poi sul clavicembalo, su un preludio di Bach omettendo la seguente fuga, non senza aver prima sfiorato l’ultimo CD di Esperanza Spalding, e così via. Viene reso psicologicamente sempre più difficile il seguire una “grande narrazione”, come può essere rappresentata da una sinfonia di Bruckner.
Come può reagire l’interprete sul palcoscenico a ciò? Sicuramente mantenendo in vita lo svolgersi di opere di ampio respiro, come accade in questa serata con l’avventuroso ma ben stabilito percorso che ci fanno fare le Variazioni su un tema di Diabelli di Beethoven. Ma, mi chiedo, l’instabilità percettiva, la mutevolezza delle esigenze del momento che ci è ormai abituale, costituisce unicamente un fattore negativo? Non siamo forse in grado di connettere tra universi apparentemente inconciliabili più che nel passato, ammesso di non rinunciare completamente a una certa autodisciplina, comunque necessaria a un più completo godimento estetico? Perché non cercare di scovare in chi suona e in chi ascolta l’adesione ad un ordine mentale sorprendentemente sotterraneo? Dove l’abbinamento di opere ritenute di primo acchito incompatibili ci permette un tipo di associazioni inedite, esattamente come siamo già abituati a fare sul web, in più qui però cercando in ciò che ci viene proposto una logica, un filo segreto?
Scegliendo i pezzi da abbinare nella prima parte mi sono lasciato inizialmente guidare da un idea semplice: cosa vorrei suonare una volta finito il brano precedente? Sviluppando la mia “playlist” personale scopro così delle contrapposizioni dialettiche e delle affinità, nascoste al primo sguardo, ma forse in grado di emergere oltre la superficie. Lasciando dentro di sé convivere degli autori parecchio eterogenei potremmo essere messi in grado di seguire un racconto atipico, frutto della compresenza di filoni culturali ed emotivi certamente lontani gli uni dagli altri, ma che già eravamo abituati inconsapevolmente ad accostare. E saremmo in più in grado di scoprire che accanto a dei pezzi ben noti possano trovare spazio uno studio contrappuntistico beethoveniano, un esercizio di stile del filosofo Theodor Adorno, che, durante la sua formazione musicale sotto la guida di Alban Berg, nel 1927 omaggia l’Adagietto dalla prima Suite Arlésienne di Bizet (non senza aver rivolto uno sguardo a Ravel), come nello stesso anno l’oggi ingiustamente trascurato Stefan Wolpe lavora con tecniche di montaggio su rudimenti di un tango, o come lo stesso autore ci aggredisce con una violenta e ben calcolata esplosione prolungata dal sapore bruitista in Stehende Musik. Potremmo rilevare che Bunte Blätter di Schumann non sono altro che una raccolta di brevi componimenti singoli scritti nell’arco dell’evolversi del suo profilo creativo, come potremmo verificare come si relazioni il giovane Stravinskij nell’Etude op. 7 n. 4 al modello skrjabiniano. Potremmo conoscere una commovente piccola opera pianistica di Bruckner, concepita nel 1868, anno della nascita della sua prima sinfonia, scoprire che Max Reger non era solamente autore di pachidermiche fughe ma a volte capace di insospettabile leggerezze, sentire come Grieg, evocando dei suoni di campane, si proiettava almeno venti anni in avanti. Potremmo godere della straordinaria capacità di C. Ph. E. Bach di illuminare lo stesso tema di una sempre diversa luce armonica, essendo l’intera sua meditazione sulla perdita del suo amato strumento avvolta in una coltre di sconsolata malinconia. Infine potremmo osservare Janáček mentre butta giù delle stenografiche annotazioni “diaristiche”, l’ultima, L’anello d’oro, risalente a pochi giorni prima della sua morte. Ma soprattutto potremmo tenere vigile la nostra mente nella consapevolezza che tutti questi tasselli fanno parte di una rete fantasmatica che nutre la continua personale rielaborazione della comune memoria musicale storica. Alexander Lonquich
Alexander Lonquich è nato a Trier (Germania). Nel 1977 ha vinto il Primo Premio al Concorso Casagrande dedicato a Schubert. Da allora ha tenuto concerti in Giappone, Stati Uniti e nei principali centri musicali europei. Ha collaborato con direttori d’orchestra quali C. Abbado, K. Sanderling, T. Koopman, E. Krivine, H. Holliger, M. Minkowski e S. Vègh. Nella musica da camera, ha suonato con C. Tetzlaff, N. Altstaedt, V. Frang, J. Bell, S. Isserlis, H. Schiff, I. Faust, C. Widmann, J. Widmann, B. Pergamenschikov, H. Holliger, F.P. Zimmermann. Ha ottenuto il “Diapason d’Or”, il “Premio Abbiati” e il “Premio Edison”. Nel ruolo di direttore-solista, collabora con l’Orchestra da Camera di Mantova e, tra le altre, ha lavorato con l’Orchestra della Radio di Francoforte, Royal Philharmonic Orchestra, Deutsche Kammerphilarmonie, Camerata Salzburg, Mahler Chamber Orchestra, Orchestre des Champs Elysées e Filarmonica della Scala. Si esibisce regolarmente per l’Accademia Nazionale di S. Cecilia, con la quale collabora anche come direttore-solista. Dal 2014 è Direttore Principale dell’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza.
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