[concerto streaming] MURRAY PERAHIA, pianoforte

Registrazione del concerto del 11 ottobre 2008 al Teatro della Pergola.
Archivio sonoro degli Amici della Musica di Firenze

Programma

J. S. BACH (1685-1750)
Partita n. 1 in si bemolle maggiore BWV 825
Praeludium / Allemande / Courante / Sarabande / Menuet I / Menuet II / Gigue

W.A. MOZART (1756-1791)
Sonata in fa maggiore K. 332
Allegro / Adagio / Allegro assai

L. van BEETHOVEN (1770-1827)
Sonata n. 23 in fa minore op. 57, “Appassionata”
Allegro assai / Andante con moto / Allegro ma non troppo

F. CHOPIN (1810-1849)
Studio in mi minore op. 25 n. 5
Studio in la bemolle magg. op. 25 n. 1
Studio in fa magg. op. 25 n. 3
Studio in do min. op. 10 n. 12
Ballata n. 4 in fa min. op. 52

Note di sala del concerto dell’11 ottobre 2008
(dall’archivio storico degli Amici della Musica di Firenze)

Johann Sebastian Bach
Partita n. 1 in si bemolle maggiore, BWV 825

Il ciclo delle sei Partite costituisce la prima parte del grande progetto del Clavier-Übung, laddove la seconda comprenderà il Concerto italiano e la Ouverture francese, la terza una serie di ventuno Preludi Coraliorganistici con i Quattro Duetti e la quarta ed ultima parte le monumentali Variazioni Goldberg. La prima parte del Clavier-Übung fu pubblicata a Lipsia come op. I nel 1731, ma dopo che ciascuna delle sei Partite in essa contenute era stata già pubblicata separatamente tra il 1726 e il 1730. Si tratta dunque di opere della piena maturità di Bach, riferibili all’ultimo e più lungo dei tre periodi dell’attività del musicista, quello cioè che dal 1723 alla morte lo vide ricoprire l’incarico di Kantor alla Thomasschule di Lipsia. Il termine Partita è qui usato da Bach come sinonimo di Suite: la scelta di tale termine è probabilmente non casuale, e cioè un omaggio alla memoria di Johann Kuhnau, suo predecessore nell’incarico alla Thomasschule di Lipsia e già autore a sua volta di un Neuer Clavier-Übung comprendente due raccolte di sette Partite ciascuna.

La Partita n. 1 in si bemolle maggiore si apre con un breve “Praeludium” cantabile e disteso, al quale segue l’Allemande, dall’andamento scorrevole e lineare, secondo il modello italiano; anche la Corrente è in stile italiano, cioè più uniforme ritmicamente e in un tempo più scorrevole rispetto al modello francese. La Sarabande è un brano a tre parti dominato dalla sinuosa linea melodica della voce superiore; dopo due Minuetti (l’uno di carattere più danzante, l’altro, più breve e a mo’ di Trio, concepito polifonicamente), si giunge infine alla Giga, dove spicca il brillante espediente virtuosistico degli incroci delle mani.

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Sonata in fa maggiore K. 332

Dopo aver abbandonato la carica di Konzertmeister presso il poco disponibile Arcivescovo di Salisburgo, Mozart intraprese nell’estate del 1777 un lungo viaggio che lo avrebbe portato fino a Parigi passando prima per Monaco, Augusta e Mannheim. Il giovane musicista e il padre, che anche da lontano guidava e controllava la carriera del figlio, riponevano molte speranze su quello che la capitale francese – che già lo aveva conosciuto come enfant prodige – avrebbe potuto offrirgli, ma queste aspettative furono ben presto deluse. Dopo le prime sei, composte negli anni 1774-75, ben cinque sonate pianistiche sono attribuite a questo periodo parigino (ma questa datazione è stata messa in dubbio da recenti studi, posticipandone la composizione di alcuni anni). Di fatto, queste nuove sonate segnano una evoluzione nel linguaggio in linea con l’affermarsi del cosiddetto “stile galante”, ma dall’altro anche di una più sottile ricerca sul piano del timbro e della “strumentazione” pianistica.

La Sonata in fa maggiore K. 332, del 1778, si apre con un tema di levigatissima curva melodica; ma già prima del secondo tema, aggraziato e “galante”, un’ombra viene a turbare il clima sereno del movimento, così come anche più avanti un nuovo elemento tematico su un ritmo sincopato. Il secondo movimento è costituito da due temi di carattere melodico molto lineare, il primo sul semplice supporto di un basso albertino, il secondo più allusivo ad una strumentazione quartettistica, entrambi subito ripresi in figurazione variata, senza un episodio intermedio di sviluppo. Il terzo movimento, in forma sonata anziché di rondò, si apre non con un vero e proprio tema ma con un brillante passaggio virtuosistico, al quale segue una serie di idee tematiche estremamente varie per carattere, area tonale e allusioni strumentali, lasciando spazio di volta in volta a momenti di malinconica introspezione o a imprevedibili e spiritose trovate, fino alla conclusione in sordine, come di un attore che, dopo aver piacevolmente intrattenuto il suo pubblico, abbandoni la scena di soppiatto.

Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sonata n. 23 in fa minore op. 57, “Appassionata”

La Sonata in fa minore op. 57 occupa una posizione centrale, sotto diversi punti di vista, nel panorama dell’opera pianistica beethoveniana: innanzi tutto per la sua effettiva, altissima qualità di contenuti musicali, che la pongono incontestabilmente tra le più possenti e originali realizzazioni di Beethoven (lo stesso autore, secondo la testimonianza di Czerny, la considerava – prima dell’op. 106 – la sua sonata più importante) e in generale di tutta la letteratura del primo Ottocento. Vi è poi una centralità cronologica – fu composta tra il 1804 e il 1806 e pubblicata nel 1807 – nella parabola dell’evoluzione stilistica e poetica del grande musicista, tale da farne una pagina emblematica di quel momento che si è soliti indicare come «seconda maniera», ormai non più influenzata dalla misura settecentesca della prima fase creativa ma non ancora premonitrice di quella arditamente originale degli ultimi anni. Un terzo motivo di centralità è quello infine che si pone in relazione con il sottotitolo (peraltro non posto dall’autore, bensì dall’editore Cranz vari anni dopo la prima edizione): questa sonata, infatti, come poche altre ha contribuito a creare e ad alimentare quella visione univoca dell’arte beethoveniana che ha avuto corso lungo tutto l’Ottocento e buona parte del successivo: visione esclusivamente legata al “sublime”, allo scatenarsi delle passioni e alle tempeste dell’anima, e che ha spinto gli esegeti a cercare insistentemente riscontri a questa visione nelle vicende biografiche del musicista, con particolare riguardo al lato sentimentale.

Ciò che di nuovo, da un punto di vista del linguaggio strumentale, sembra affermarsi qui è una spiccata ricerca sul piano del timbro pianistico, legato all’esplorazione dei diversi registri della tastiera. Ciò si evidenzia fin dalle prime battute, dove il primo e principale tema dell’”Allegro assai” è esposto all’unisono a due ottave di distanza nei registri medio e grave. Un’altra caratteristica di questo primo movimento è la solida integrazione del materiale tematico, tanto che primo e secondo tema, pur nel rispetto degli abituali piani tonali, si ricollegano ad una stessa idea melodica. Il secondo movimento, “Andante con moto”, è un tema con tre variazioni, concepite secondo il tradizionale principio di variazione ornamentale per diminuzione di valori ritmici. Ma anche qui è da notare il progressivo spostarsi – dal tema fino alla terza variazione – dal registro da coda e al tempo stesso da collegamento con l’ultimo movimento (l’”Allegro ma non troppo”), che, introdotto da una serie di accordi martellanti, si lancia in un inquieto e incalzante moto perpetuo, tale da ricondurci in pieno al clima espressivo del primo movimento.

Fryderyk Chopin (1810-1849)
Studio in mi minore op. 25 n. 5; Studio in la bemolle maggiore op. 25 n. 1; Studio in fa maggiore op. 25 n. 3; Studio in do minore op. 10 n. 12; Ballata n. 4 in fa minore op. 52

Ad un momento iniziale della breve parabola creativa di Chopin si pone la prima raccolta di dodici Studi, che l’autore compose in vari momenti tra il 1829 e il 1832, pubblicandoli poi nel ’33 come op. 10 e con dedica a Franz Liszt; il successo riscosso da questa prima raccolta indusse il musicista a darne una seconda “gemella” tre anni dopo, pubblicata come op. 25. L’enorme importanza di questi brani, ciascuno dei quali sviluppa un problema “artistico” (cioè di espressione, di suono, di timbro) prima ancora che tecnico, secondo una concezione di assoluta e rivoluzionaria originalità, fu subito riconosciuta, tanto che anche un musicista estraneo ai problemi della tastiera quale Berlioz ammirava in ciascuno di questi brani “combinazioni armoniche di sorprendente profondità”. Lo Studio op. 25 n. 5 è costruito in forma nettamente tripartita, con una sezione centrale dominata da una calda e distesa idea melodica. Lo studio che apre questa seconda raccolta, l’op. 25 n. 1, colpì in particolare l’immaginazione di Schumann, che lo descriveva come “un’arpa eolia che abbia tutte le gamme sonore, mescolate dalla mano d’un artista in ogni sorta d’arabeschi fantastici, in modo però da udire sempre un suono grave fondamentale e una delicata nota acuta”. Anche nell’op. 25 n. 3 da un complesso reticolo armonico e ritmico esce come per incanto una linea melodica, che nella conclusione si perde in una delicata volata verso l’acuto. Infine lo Studio op. 10 n. 12, uno dei più celebri, è un possente e drammatico documento della passione patriottica del musicista: quasi un fiotto di musica che erompe con violenza nell’appassionata melodia in accordi della destra e nell’ininterrotto e tumultuoso ondeggiare della mano sinistra.

La Ballata è forse, dal punto di vista formale, la più originale creazione chopiniana. Solo assai vagamente ispirata dalle omonime composizioni poetiche di Adam Mickiewicz – il “vate” in esilio dell’anima popolare polacca che dal 1840 aveva fatto di Parigi il centro della sua azione –, la Ballata chopiniana si basa di solito sulla contrapposizione di due gruppi tematici, ma non secondo la dialettica della forma sonata, bensì secondo l’idea di una nuova, più sottile metamorfosi espressiva e psicologica del materiale tematico.

Questa tendenza a una grande struttura formale unitaria è portata alle estreme conseguenze nella quarta ed ultima Ballata op. 52. In questo capolavoro della maturità del musicista (fu completata nel 1843) figurano, come in una sorta di compendio, gran parte dei generi coltivati (o meglio, reinventati) da Chopin, fusi nel crogiuolo di una potente quanto originale concezione formale e di una ininterrotta e altissima tensione espressiva e poetica. Rispetto alle altre Ballate, in questa il primo tema, semplice nella sua estrema purezza melodica, si estende assai più largamente rispetto a un secondo tema di carattere tutt’altro che contrastante, ridotto a sole sedici battute; ma proprio questo secondo elemento tematico è destinato ad assurgere ad un ruolo dominante, fino a quei cinque accordi in “pianissimo” che, carichi di mistero, sembrano arrestare all’improvviso il continuo flusso di crescita e di intensificazione espressiva che fa dell’intera composizione, fino al tragico e disperato epilogo, un unico grande e inarrestabile arco unitario.

Francesco Dilaghi

[Photo: Felix Broede]