Intervista al Trio Sheliak

Qual è il primo ricordo della tua vita legato alla musica che ti viene in mente?

Emanuele Brilli. Avevo sette anni e mi venne data in mano una custodia nera di legno che faceva molto James Bond. Che ci fosse dentro un violino all’inizio non era molto importante.

Matilde Michelozzi. Ricordo benissimo il mio primo saggio di propedeutica: avevo sei anni e dovevo suonare lo xilofono in duo con una mia amica. Eravamo talmente felici ed emozionate che salimmo sul palco un’ora prima del concerto già pronte con le bacchette in posizione. Altro ricordo invece risale a quando provai per la prima volta i vari strumenti per decidere quale avrei iniziato a suonare: scelsi il violoncello perché si suonava seduti, ero troppo pigra per stare in piedi con il violino in mano!

Sergio Costa. Un’immagine che ricordo sempre quando penso all’infanzia e alla musica è di quando avevo circa tre anni: mi sedevo a una piccola tastierina elettrica che stava in sala da pranzo, sulla quale al tempo mia sorella studiava, e suonavo, cercavo di trovare a orecchio melodie e mi divertivo a trasporle in varie tonalità. Ricordo che il suono mi sembrava magico e colorato, come se ogni nota avesse un sapore diverso.

Cosa ti ha spinto a iniziare a suonare uno strumento musicale?

Emanuele. Cantavo in un coro tra le voci bianche e una amica aveva appena iniziato violoncello, mi portò con lei a Fiesole a provare gli strumenti. Arrivai nell’aula per ultimo e stavano provando un clarinetto, ma avevano una sola ancia. Scelsi il violino.

Matilde. I miei genitori non sono musicisti ma nelle nostre famiglie la musica c’è sempre stata: entrambi i miei nonni suonavano e così da piccolini i miei genitori iscrissero me e mio fratello alla Scuola di Musica di Prato. Ci piacque così tanto che decidemmo entrambi di continuare. Abbiamo iniziato per gioco e poi piano piano abbiamo entrambi scoperto una grande passione per questo mondo.

Sergio. Da piccolo per farmi stare buono bastava mettere una cassetta musicale: stavo attento, in ascolto. Lo Zecchino d’Oro mi affascinava particolarmente perché sentivo tante voci che insieme creavano armonie. Non mi stupisce di aver scelto uno strumento capace di fare lo stesso.

Quando hai capito che eri brav* in quello che stavi facendo e che questa attività avrebbe occupato una parte importante della tua vita?

Emanuele. Ho sempre avuto facilità nel suonare, e sono stato sempre sicuro di volerlo rendere una professione, tranne qualche vacillamento adolescenziale. La Scuola di Fiesole ha rappresentato per me una seconda famiglia, e mi ha fatto sempre vivere la musica con il rigore che necessita, ma sempre con gioia e serenità. La bravura è relativa all’ambiente in cui si è inseriti, cerco più che altro di bilanciare la sicurezza di sé con l’autocritica.

Matilde. Sicuramente il momento decisivo per me è stato la fine del liceo quando ho deciso di non iscrivermi all’università e di dedicarmi totalmente al violoncello e alla musica da camera.

Sergio. Gli anni del Conservatorio sono stati densi di fascino nello scoprire sempre più a fondo cosa volesse dire fare musica. Ero innamorato della magia del suono, delle sfumature, dei mille significati della musica. Ero bravo a percepire queste cose, ma fino alla fine del liceo non mi sono concesso una scelta decisiva su cosa avrei fatto. Ho sempre visto il pianoforte come una passione molto importante, ma solo dopo aver provato ad iscrivermi all’università ho capito che non ero in grado di separarmi dalla musica, e da quella cura con cui la stavo portando avanti.

Ci sono stati dei momenti in cui avresti voluto mollare tutto e cambiare direzione?

Emanuele. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di affiancare altri interessi alla musica, ma non sono mai durati molto; credo di essere molto fortunato a non avere avuto, per ora, nessuna ragione per cambiare direzione.

Matilde. I momenti di difficoltà ci sono stati e sicuramente mi hanno messo a dura prova. Fortunatamente ho sempre trovato la forza di reagire e di affrontarli per poi ritrovarmi più forte e serena nelle mie scelte. Essere seguita da una psicoterapeuta mi ha aiutato molto nel capire chi sono e cosa voglio dalla mia vita.

Sergio. Ho vissuto tante situazioni di difficoltà e di grandi insicurezze, in cui il mio mestiere, la competitività e l’incertezza derivata dal mio non conoscere questo mondo e i suoi sbocchi, mi hanno dato non poco filo da torcere. Ma bene o male in nessuno di questi momenti ho mai pensato che avrei voluto deviare dalla mia strada.

Qual è il momento più emozionante che ricordi della tua carriera musicale?

Emanuele. Un concerto in quartetto con amici in una saletta molto intima, la prima volta che ho suonato la Cavatina.

Matilde. Ricordo ancora la nostra prima prova con il trio, quando ci siamo conosciuti e abbiamo iniziato a suonare insieme. Suonammo il primo di trio di Mendelssohn e fin da subito si creò un’affinità e un dialogo che mi emozionarono moltissimo.

Sergio. Quando ho suonato il quarto Concerto di Beethoven con l’orchestra, come parte del mio diploma di conservatorio. Ero così emozionato di poter portare la mia visione di un pezzo così caro per me agli amici, agli spettatori, ai maestri e a chi mi aveva seguito nel mio percorso, ed è stato bellissimo.

Ci racconti come hai conosciuto gli altri musicisti del Trio? Cosa ti piace del loro modo di suonare e come mai avete deciso di formare il vostro gruppo?

Emanuele. Erano alla ricerca di un violinista e io alla ricerca di una nuova occasione per fare musica da camera. La prima prova è andata benissimo, ci siamo divertiti da subito. Appena finito di suonare Matilde si mette a sedere sul tavolo e mi dice “noi non abbiamo tempo da perdere, se sei pronto a lavorare sodo bene, sennò non se ne fa di niente”. Avrei dovuto capire subito come si sarebbero messe le cose.

Matilde. Io e Sergio ci siamo conosciuti in Conservatorio ormai dieci anni fa quando abbiamo iniziato a fare il corso di musica da camera insieme, Emanuele invece l’abbiamo conosciuto tramite un amico comune quando stavamo cercando un violinista per formare il nostro trio. Di Sergio mi piace molto la musicalità e l’attenzione per il suono; Emanuele riesce a dare energia e sicurezza al gruppo.

Sergio. Io e Matilde ci conosciamo da dieci anni, lei è la prima persona con cui ho fatto musica da camera. Siamo sempre stati due caratteri contrastanti ma che nel profondo condividevano gli stessi valori, e questo ci ha fatto superare le difficoltà. Quando abbiamo conosciuto Emanuele una cosa è stata certa fin dall’inizio: non vedevamo l’ora di fare sul serio. Mi piace la varietà dei caratteri musicali nel nostro trio: Matilde è la più fantasiosa, trascinante e a volte critica, Emanuele è un appoggio sicuro e trova sempre la risposta. Fra di noi è un continuo venirsi incontro e scontrarsi. Ogni passo è vero, è sudato ed è una realizzazione che ci fa costruire la nostra identità pezzo dopo pezzo.

C’è un brano musicale a cui sei particolarmente legat*? Vuoi dirci qual è e come mai?

Emanuele. Ogni brano che ha accompagnato un evento importante della mia vita. Però sull’isola deserta porterei il primo Razumovsky di Beethoven, la Trota, l’ultimo quartetto e i lieder di Schubert, tutti.

Matilde. Sono molto legata al nostro Trio di Ravel. È stato il brano che ci ha fatti diventare un vero trio, che ha creato il nostro suono e con cui abbiamo capito come potevamo esprimerci al meglio.

Sergio. Curiosamente due brani di Schumann: L’Arabesque e il Carnevale di Vienna, brani con cui mi sono veramente innamorato della musica e ciò che poteva fare. L’Arabesque mi ha fatto vivere una delle sensazioni in concerto più belle che io ricordi, mentre è stato sfogliando le esecuzioni del Carnevale di Vienna su YouTube che ho scoperto Arturo Benedetti Michelangeli, forse il musicista a cui sono più legato.

Hai altre passioni oltre a suonare il tuo strumento (sport/lettura/viaggi/hobby vari/ecc.)?

Emanuele. Ho una moto che mi aspetta pazientemente per quei due mesi estivi. Un pessimo esemplare di motociclista.

Matilde. Adoro fare sport e allenarmi con il mio personal trainer; amo anche viaggiare, fortunatamente visto il nostro lavoro, e scoprire luoghi nuovi ma apprezzo molto anche i rari momenti in cui riesco a stare sul divano a guardarmi una bella serie tv.

Sergio. Sono appassionato di tecnologia e videogiochi, mi piace tanto immergermi nella natura, girare in bicicletta e anche fare trekking in montagna e dormire in tenda. Ma soprattutto sono un patito di esplorazione spaziale e astronomia da quando ero bambino.

Ascolti altri tipi di musica oltre a quella che suoni? Se sì, quali?

Emanuele. Dai Corali di Bach a Staud che suoneremo a breve, passano tanti secoli e tanti tipi di musica diversi, in realtà forse quasi tutti. Ogni tanto ascolto un po’ di cantautorato italiano.

Matilde. Spesso ascolto cantautorato italiano e quando sono in macchina o mi alleno anche musica pop.

Sergio. Mi piacciono i classici rock anni ‘70 e ‘80, progressive, e anche il cantautorato italiano, a cui sono molto legato anche dalla mia infanzia, sebbene ora che la musica è il mio mestiere mi capiti di rado di ascoltarla.

C’è un disco – di qualsiasi genere – che consiglieresti a tutti di ascoltare?

Emanuele. I Quartetti di Haydn del Cuarteto Casals.

Matilde. Il disco del Cuarteto Casals con l’op. 33 dei Quartetti di Haydn.

Sergio. Il Concerto di Schumann registrato da Martha Argerich.

Qual è il libro che leggerai quest’estate?

Emanuele. Fra tonnellate di parole crociate e partite a scacchi per lo più perse, ho letto Amianto, una storia operaia di Prunetti e Il fascismo eterno di Eco. Insieme agli immancabili podcast di Barbero, che accompagnano ogni viaggio in macchina e che i miei compagni ormai odiano.

Matilde. Ultimamente mi sono appassionata ai romanzi gialli, proseguirò con la lettura dei libri di Agatha Christie.

Sergio. Si chiama Buchi bianchi di Carlo Rovelli, a proposito di passioni “astronomiche”.