Intervista allo Schumann Quartett

Il programma che presenterete il 19 febbraio 2018 a Firenze per la stagione degli Amici della Musica include un quartetto di Schubert e altri due lavori che presentano legami con la Russia: uno dei cosiddetti “quartetti russi” di Beethoven (il quartetto “Razumovsky” op. 59 n. 1) e uno del compositore russo Šostakovič. Potete dirci quali sono le ragioni che vi hanno portato a lavorare su questo repertorio e cosa vi affascina di questi brani?

Ken Schumann: L’idea di questo programma con una forte percentuale “russa” è stata influenzata dall’insegnamento del violino ricevuto da me e da Erik [Schumann]. Entrambi abbiamo studiato con Zakhar Bron, grande pedagogo russo del violino, che è stato anche l’insegnante di Maxim Vengerov e Vadim Repin. Ricordo le lezioni con lui in cui abbiamo approfondito la letteratura violinistica di Čajkovskij, Prokofiev, Šostakovič, Kabalevsky, ecc. Zakhar Bron ha studiato con Igor e il leggendario David Oistrakh, che sappiamo abbia lavorato molto con Šostakovič. Questo è il nostro collegamento personale con la storia, la cultura e la tradizione russa.

La nostra idea era di impostare il programma come un dialogo tra Beethoven, Šostakovič e Schubert. Šostakovič era un grande ammiratore di Beethoven e studiò intensamente i suoi quartetti d’archi. Per esempio, Šostakovič era in grado di suonare a memoria la “Grande Fuga” di Beethoven al pianoforte. Il suo settimo quartetto è forse il più breve e conciso: lì Šostakovič diventa quasi un minimalista, riduce tutto al materiale essenziale.

Il vostro quartetto ha una storia molto particolare: tre di voi (Mark, Erik e Ken Schumann) sono fratelli, che si conoscono da sempre, e Liisa Randalu, violista, è entrata nel gruppo nel 2012. Potreste spiegare come si è evoluta la relazione tra voi nel corso della vostra carriera e dopo l’arrivo di Liisa? Secondo voi, quali sono le differenze tra suonare in un quartetto come il vostro, suonare in altri ensemble o come solisti?

Erik Schumann: Finora abbiamo fatto un fantastico viaggio insieme, ci conosciamo molto bene. Suonare in un quartetto d’archi professionista comporta un modo di vivere molto intenso: siamo tre fratelli e il nostro legame è molto forte ma, naturalmente, ci sono anche aspetti complicati. Il nostro rapporto è lo stesso di sempre, solo che siamo diventati adulti e ognuno di noi ha trovato il proprio modo di sentirsi a suo agio stando in gruppo quasi tutto il tempo. Ciò che ci lega di più è l’amore per il repertorio quartettistico e il compimento musicale che possiamo raggiungere solo in questa formazione.

Liisa è stata un grande stimolo per il quartetto e sono sicuro che, senza di lei, non avremmo realizzato molte cose. Ha portato una nuova qualità al quartetto ed è una violista eccezionale e allo stesso tempo una persona molto modesta, affascinante e sincera.

Affermate: “Un’opera si realizza davvero solo durante la performance dal vivo. Per noi questa è la “cosa reale”, perché noi stessi non sappiamo mai cosa succederà. Sul palco, tutte le imitazioni scompaiono e automaticamente si diventa onesti con se stessi. Quindi possiamo creare un legame con il pubblico – comunicare con lui attraverso la musica”. Questa ricerca di autenticità e di stupore durante la performance dal vivo vi spinge a trovare sempre nuovi repertori da esplorare? O avete pezzi che rappresentano per voi una continua fonte di ispirazione?

Mark Schumann: Durante le prove del quartetto esploriamo sempre compositori diversi e sviluppiamo i nostri canali di interpretazione. Non siamo solo desiderosi di ampliare il nostro orizzonte, ma anche di offrire nuovi approcci al pubblico. Ma il legame speciale che crei con un pubblico durante un concerto è sempre unico e rappresenta una grande fonte di ispirazione per noi.

Il vostro ultimo album Landscape (Berlin Classics 2017) include opere di Joseph Haydn, Béla Bartók, Tōru Takemitsu e Arvo Pärt, tutti riuniti sotto lo stesso tema principale. Quali sono le caratteristiche di questi lavori che li collegano tra loro e al concetto di “paesaggio”?

Liisa Randalu: All’inizio potrebbe sembrare casuale mettere insieme questi quattro compositori nello stesso disco. Se osserviamo un quartetto d’archi, però, vediamo che è formato da quattro persone, ognuna con il proprio carattere e opinione, che lavorano insieme per un obiettivo: suonare un quartetto d’archi. In particolare, questo disco rappresenta compositori completamente diversi fra loro, lingue diverse, persone diversi e paesaggi diversi – letteralmente e nella loro musica. Essi rappresentano anche noi, le radici delle nostre origini; Takemitsu, con il titolo Landscape, per il lato giapponese dei fratelli, Pärt viene dal mio paese d’origine (l’Estonia); anche il titolo di Pärt, Fratres, che significa “fratelli”, crea questa meravigliosa connessione con il gruppo che siamo. Haydn e Bartók sono compositori fondamentali del nostro repertorio: in particolare, i loro due quartetti ci mostrano i diversi paesaggi della musica per la nostra formazione.

Avete progetti futuri di cui volete raccontarci?

Ken Schumann: Oltre a due incisioni discografiche, nel 2018 saremo Artist in Residence presso il “Mozartfest Würzburg”, uno dei grandi festival più importanti in Germania.
È un grande onore per noi e non vediamo l’ora di suonare lì. Inoltre visiteremo gli Stati Uniti ben quattro volte il prossimo anno. Quindi viaggeremo molto…
Forse il culmine musicale sarà il nostro tour ad aprile con il leggendario pianista Menahem Pressler.

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