I viaggi nel tempo di Vadym Kholodenko

Il recital solistico che porta nella nostra stagione concertistica spazia da Händel, con la Suite in si bemolle maggiore, HWV 434, a Thomas Adès, con Traced Overhead (1996). Come l’ha immaginato?

Mi piace sempre moltissimo esplorare gli incontri e i dialoghi della letteratura pianistica, dal periodo barocco fino alla musica contemporanea. Noi pianisti siamo fortunati ad avere una scelta così vasta di repertorio. È interessante, per me, osservare e analizzare come le idee dei compositori si sono sviluppate nel tempo, come è stato usato il pianoforte nelle diverse epoche (o qualsiasi altro strumento a tastiera proprio di quel particolare periodo). Alla fine, anche repertori che storicamente si collocano agli estremi temporali possono dare, spesso, impulso alla nostra immaginazione di musicisti e ascoltatori attivi.

Il suo repertorio, così come le sue registrazioni, coprono un arco temporale molto ampio, che va da J.S. Bach al contemporaneo Frederic Rzewski. Quali sono i criteri che impiega per scegliere la letteratura pianistica a cui dedicarsi?

Oltre a scavare dentro di me e interrogarmi costantemente, spesso ricevo ottimi suggerimenti da amici. È accaduto così nel caso di Rzewski. Un suo brano per pianoforte mi è stato consigliato per una registrazione. Era solo un’idea un po’ abbozzata ma alla fine quel pezzo si è rivelato una delle mie musiche preferite. Alla fine, penso che il segreto sia imparare a leggere il futuro, ovvero pianificare il programma per alcune stagioni a venire ed essere sicuri di amare ancora quella musica, anche dopo un po’. È un compito impegnativo ma gratificante, se lo si fa bene. 


Quali sono stati gli incontri – artistici e umani – che hanno maggiormente influenzato la sua visione musicale?

La mia lista di incontri importanti è veramente lunga. Solitamente mi fa piacere segnalare quelli che sono piuttosto lontani dall’ambito della musica classica. Quando andavo ancora a scuola, mi imbattei in un concerto di Miles Davis. Lo trasmettevano su MTV. L’energia, l’immaginazione, il modo in cui questo straordinario musicista improvvisava… quello che sentii mi impressionò moltissimo.

Foto © Jean-Baptiste Millot